Sarebbero state diffamate perché fatte apparire alla stregua di evasori fiscali e fatte oggetto di commenti sui social ironici ed offensivi. Sostenendo ciò, tre giovani umbre (una 35enne ed una 37enne nate a Foligno ed una 38enne nata a Spoleto) nelle scorse settimane hanno intentato un’azione civile contro la nota blogger Selvaggia Lucarelli, presentando un provvedimento cautelare d’urgenza davanti al Tribunale di Spoleto.
Nel procedimento civile (a rappresentare le tre erano gli avvocati Marco Paoli e Umberto Tarara), si contestavano in particolare – chiedendone la rimozione – tre post su Facebook, del 2, 20 e 21 luglio (il primo riportante il contenuto di un articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano a firma della stessa Lucarelli), relativi all’azienda Juice Plus, attiva nel campo degli integratori alimentari attraverso una diffusa rete di vendita multi livello, operante per lo più sui social network grazie a vari team tra cui “#unstoppable”.
Con la sua inchiesta in più puntate, condivisa da decine di migliaia di persone sui social, Selvaggia Lucarelli quest’estate aveva scoperchiato il vaso di pandora, facendo uscire un mondo fatto di ostentazione di lusso e stipendi facili per convincere nuovi venditori prima che acquirenti di prodotti. A favore però soprattutto di pochi, cioè i vertici della “piramide”, non senza varie pressioni psicologiche che sarebbero state attuate da alcuni ed un vero e proprio regolamento da seguire pena l’esclusione dal ‘sistema’. A suo sostegno ha portato post di gruppi su Facebook, conversazioni in chat tra venditori e i più alti in grado nella vendita multilevel (i cosiddetti “up”, “coach” e “president”) e appunto i “regolamenti” in questione. In tanti sin da subito hanno iniziato a raccontare la propria esperienza.
Un sistema piramidale di fatto, insomma, che in Italia è vietato dalla legge, e dal quale, dopo l’inchiesta, si è dissociata anche la stessa Juice Plus nel frattempo finita sotto inchiesta da parte dell’Antitrust per pratiche commerciali scorrette.
Dall’inchiesta giornalistica è nata anche una battaglia social tra Selvaggia Lucarelli e molti venditori dell’azienda in questione. Finita ora al Tribunale di Spoleto, che, però, con una sentenza emessa giovedì dal giudice Tommaso Sdogati, ha di fatto dato ragione alla blogger, respingendo in toto il ricorso d’urgenza che chiedeva la cancellazione dei post su Facebook ed il pagamento, da parte della blogger, della somma “di euro 5.000,00 per ogni ulteriore post o commenti o mancata rimozione di commenti, nonché euro 500,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’emanando provvedimento“. Nelle 12 pagine dell’ordinanza del giudice civile spoletino, le tre donne, considerate come unica parte processuale, sono state condannate al pagamento delle spese legali a favore della Lucarelli (difesa dagli avvocati Roberto Cutigni e Luigi Todaro), 2.500 euro oltre al rimborso delle spese generali.
Nel ricorso presentato dalle tre giovani umbre, agenti di vendita della Juice Plus, veniva evidenziato come Selvaggia Lucarelli nei suoi post “esprimeva gravi giudizi diffamatori rispetto ai prodotti della stessa ed al sistema di vendita adottato” ed in particolare su presunte fatturazioni non emesse. Citando invece apposita normativa, le tre evidenziavano come loro siano in regola dal punto di vista fiscale. “Deducevano le ricorrenti, pertanto, che lavorando per tale società come agenti di vendita dei prodotti Juice Plus, tale post conteneva messaggi diffamatori, facendo apparire come gli incaricati alle vendite degli evasori fiscali, scatenando molti commenti ironici ed offensivi da parte dei suoi followers“. Nel mirino anche l’avvenuta pubblicazione, sul profilo Facebook della Lucarelli, di alcune foto tratte dai profili delle ricorrenti, senza il loro consenso.
Vari gli aspetti analizzati dal giudice nella sua ordinanza in merito all’accoglimento o meno del provvedimento cautelare urgente. La prima è che “le ricorrenti sono soggetti legati da un rapporto lavorativo con la società Juice Plus ed agiscono esclusivamente a tutela della loro immagine, con la conseguenza che ogni aspetto riguardante la detta società non rientra nell’oggetto del presente giudizio, non essendovi alcun coinvolgimento della stessa. Ne consegue, pertanto, che le vicende ed i rapporti riguardanti la resistente e la società Juice Plus, qualificata come persona giuridica, sono estranee alla presente vicenda“.
Quanto, nello specifico, alla “ritenuta natura di evasori fiscali, asserita dalle ricorrenti”, ricorda il giudice che “la portata diffamatoria di una condotta si lega inscindibilmente alla persona fisica singolarmente considerata, in quanto la lesione al bene giuridico tutelato dalla norma ha riguardo al soggetto singolo, specificamente e concretamente individuato. Già da ciò, perciò, risulta del tutto carente una detta lesione, in capo alle ricorrenti, che possa trarre origine dal post del 02 luglio, in quanto l’astrattezza contenuta nello stesso, formulato in termini generici e senza alcun riferimento […] a persone individuali o fisiche, impedisce di concretizzare quella lesione prevista dall’art. 595 c.p., difettando il requisito, inscindibile, della riferibilità delle affermazioni, contenute nel post del 2 luglio, a persone singole e determinate”.
E ancora: “I successivi post del 20 e del 21 luglio, infatti, si collocano in altro contesto discorsivo e nell’ambito di una più ampia discussione riguardante gli elevati guadagni che si otterrebbero lavorando per Juice Plus, con conseguente impossibilità, per l’utente Facebook, di estrapolare dal post del 02.07.2018 il concetto di evasore fiscale in capo alle ricorrenti correlandolo con i post del 20 e del 21 luglio in cui, pubblicando le fotografie della ricorrenti, la Lucarelli non richiama il concetto di evasore fiscale in capo ad esse, consentendosi perciò una tale individualizzazione. […] Sul punto dell’asserita evasione fiscale, quindi, non essendo estrapolabile dai suddetti post alcun concetto che denoti le ricorrenti come tali, per quanto sopra motivato, il ricorso risulta infondato”.
Quanto invece alla portata diffamatoria dei post successivi, nel mirino ci sono i commenti degli utenti del social network a quanto scritto da Selvaggia Lucarelli. Ma il giudice esclude responsabilità in capo a quest’ultima per quanto scritto da altri: “Fermo restando che l’accertamento di un tale elemento soggettivo è riservato al giudice di merito penale nelle competenti sedi, va osservato che non può dirsi sussistente una condotta dolosa di concorso in capo alla Lucarelli, nella commissione del reato di diffamazione ex art. 595 c.p.c., con quella dei commentatori dei post, in quanto non vi sono elementi da cui desumere che gli stessi commentatori, da soli, non si determinavano autonomamente a porre in essere condotte criminose lesive (tramite commento ai post del 21 e del 22 luglio 2018) del bene giuridico del suddetto reato nei confronti delle ricorrenti, escludendosi quindi un apporto soggettivo doloso causalmente incidente nella commissione del fatto – non può configurarsi neppure un apporto colposo in quanto il reato di diffamazione non è punibile a titolo di colpa –“.
Nell’ordinanza vengono analizzati anche i post della blogger del 20 e 21 luglio in sé. “I commenti della Lucarelli – scrive il giudice – non si ritengono ricadere nell’ambito della diffamazione, in quanto nel post con la foto di una delle ricorrenti con una borsa firmata in mano (sembrerebbe “DG”), affermava “una delle premiate da avedisco, moglie del venditore numero 2 di Juice Plus, che non ama ostentare”, ed un altro con scritto “poi c’è lei. Ha 30 anni eh”, in cui vi è una foto di un’altra ricorrente sempre con un borsa firmata (sembrerebbe “DG”). Entrambi i post erano ricondotti in un più ampio scambio di commenti con gli utenti di Facebook, rispetto ai quali la stessa Lucarelli affermava “Questi sono i post pubblicati in gruppi dedicati solo a questo: far vedere quanto guadagnano”. Tali post, unitamente allo scenario globale in cui si inseriscono si ritengono ricadere nell’ambito del così detto diritto di satira. […] Pertanto, sotto tale punto di vista, la condotta della Lucarelli si ritiene ricadere nell’ambito del diritto di satira ex art. 51 c.p. che, come tale, neppure richiede la sussistenza della “verità del fatto” ma solamente la manifestazione di un dissenso derivante dal comportamento preso di mira, che in questo caso sarebbe quello dei soggetti venditori di Juice Plus che ostenterebbero i guadagni della propria attività lavorativa tramite foto su Facebook”.
C’è infine la questione della condivisione delle foto di due delle ricorrenti. “Al riguardo, centrale risulterebbe stabilire se le fotografie delle ricorrenti siano state estrapolate dal profilo personale delle stesse o meno e, inoltre, se rispetto alle stesse possa dirsi sussistente una diritto di titolarità esclusiva nello sfruttamento dello stesso, nonostante siano caricate su una piattaforma pubblica quale Facebook. Ma tale questione è preclusa nel presente ambito, in quanto la violazione del diritto d’autore è materia ricadente nell’alveo della competenza funzionale della Sezione Specializzata delle Imprese”.
“Ne consegue che, sotto tale profilo, – scrive ancora il giudice civile – non è questa la sede per scrutinare eventuali violazioni o meno del diritto d’autore commesse dalla Lucarelli in ordine alla pubblicazione delle fotografie delle ricorrenti – di cui risulta, per vero, indimostrato se siano riferibili a contenuti “IP” personali oppure a pagine e gruppi pubblici di Facebook che, come tali, rientrerebbero nella cessione, al social network, dei diritti relativi facendo venir meno la tutela del diritto d’autore – , essendo la materia riservata alla cognizione della Sezione Specializzata delle imprese che, essendo configurata dal legislatore come funzionale, si ritiene non poter essere derogata da un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. non azionato avanti a tale ambito”.