L’apertura verso nuovi e grandi mercati esteri possono essere grandi di crescita per un’azienda italiana. Ma quali sono le difficoltà che potrebbe trovarsi a superare un volta uscita dai confini nazionali. Questo è il racconto di un’impresa italiana di meccatronica che ha dovuto affrontare e superare una serie di ostacoli, sia tecnici che culturali, per soddisfare un cliente giapponese. Un progetto che ha messo alla prova la resilienza dell’azienda, la sua capacità di adattarsi a condizioni estreme e di superare le barriere culturali. Un’esperienza che ha richiesto non solo competenza tecnica, ma anche empatia e comprensione interculturale.
Ecco cosa è successo. Ero stato contattato da un’azienda di meccatronica per risolvere un grande problema di qualità e consegne. L’affare riguardava l’hardware per un importante progetto bancario che doveva essere inviato al nostro cliente giapponese capocommessa, il quale a sua volta avrebbe distribuito le nostre macchine e altri beni a più banche del loro paese.
Il nostro prodotto, progettato per resistere alle intemperie, si inceppava sia al freddo polare di Sapporo che al caldo torrido di Kumagaya, che ha un clima analogo all’Arizona. Contemporaneamente, la produzione consegnava con il contagocce, mettendo in crisi non solo il nostro cliente, ma anche il cash flow dell’azienda italiana.
A causa delle difficoltà, i giapponesi inviavano periodicamente i loro tecnici in Italia. Questi visitavano la nostra fabbrica e quelle dei nostri principali fornitori, supportati da un’interprete madrelingua residente a Milano. Le loro visite erano caratterizzate da un clima di terrore e di attacchi espliciti, oserei dire sadici per lo standard italiano. Le loro delegazioni erano numerose, e tutte le riunioni venivano formalizzate da una loro segretaria che scriveva tutto.
Alla mia prima riunione, la pressione era così forte che il direttore generale scoppiò in lacrime per le offese e le minacce. Tra le altre cose, fui molto colpito dal fatto che dal Giappone avevano portato centinaia di disegni tecnici, tutti fatti a mano, con le nuove misure e tolleranze. Ci imposero di utilizzarli nella realizzazione delle parti, e di non pensare. All’apice della crisi, il Direttore Tecnico volò a Yokohama per tamponare altri problemi, ed al suo arrivo nel quartier generale del cliente, gli fu sequestrato il passaporto fino alla risoluzione dei punti critici.
Il tempo passò e dopo 4-5 mesi finalmente vedemmo la luce in fondo alla galleria. I giapponesi tornarono ancora a Milano e nella solita maledetta riunione e dopo avere descritto minuziosamente i miglioramenti registrati, coup de théâtre, si alzarono tutti in piedi (5-6 persone) ed in silenzio ci fecero l’inchino in segno di rispetto e ringraziamento. Un episodio che ricordo sempre con emozione.
Secondo fatto curioso, per conto di un’altra azienda, dopo due anni e sempre a Milano, ho rincontrato l’interprete. La ragazza mi raccontò che, casualmente, durante un convegno in Giappone, aveva rivisto i nostri precedenti amici. Questi le chiesero informazioni su tutti noi in Italia, ma soprattutto (cosa incredibile) ricordavano i nomi di ogni operaio dei nostri fornitori che avevano conosciuto durante le loro visite.
Prendere o lasciare.
Antonio Di Tommaso
Consulente, Direttore Generale,
CEO per trasformazione lean,
riposizionamento, e riorganizzazione aziendale
infoumbria@theleanpremium.it