L’Istat ha certificati i dati relativi all’export nel 2021 a livello nazionale e per singola regione. Dati in forte ripresa dopo il 2020 segnato dal lockdown. Ma che vengono pubblicati proprio mentre la guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni verso la Russia rischia di creare gravi ripercussioni sull’export italiano, soprattutto per i settori del lusso, dell’alimentare, metalli e meccanica.
Tutti comparti che vedono distretti umbri (la moda del Perugino, l’olio e il vino, l’aerospaziale del Folignate, la siderurgia ternana) protagonisti nei mercati internazionali, anche in quello russo (pur se già sottoposti a parziali sanzioni in passato).
In ballo ci sono (dati del 2021) circa 90-100 milioni di valore di export verso la Russia. A cui si devono aggiungere gli scambi con l’Ucraina e le commesse che rischiano comunque di essere interrotte a causa del conflitto, che si aggiunge all’aumento dei prezzi su scala mondiale.
L’export verso l’est Europa extra Ue vale in un anno per l’Umbria circa 180 milioni di euro. Le esportazioni verso la Federazione russa (come rileva il Monitor della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo) per i tre distretti umbri della Moda, del Mobile e dell’Olio aveva fatto registrare da gennaio a settembre del 2021 del 30,5% rispetto al periodo pre pandemia. Un’accelerazione seconda solo al mercato spagnolo e a quello cinese, nettamente inferiori in termini di valore assoluto.
In 9 mesi il solo mercato russo ha portato ai tre distretti umbri 50,9 milioni di euro. Un balzo trainato dalle esportazioni di maglieria e abbigliamento del Perugino: 12 milioni di euro in più, tra gennaio e settembre 2021, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un anno, il 2020, che pur segnato maggiormente dalla pandemia e dal lockdown, ha visto registrare per i tre distretti umbri esportazioni verso la Federazione russa per 67,1 mln di euro. E il settore della moda è uno di quelli più a rischio.
E le conseguenze – sia per la durata del conflitto, sia delle sanzioni economiche e delle modalità in cui proseguiranno – non sono facilmente prevedibili. Anche la casa di moda umbra Brunello Cucinelli ha deciso di chiudere temporaneamente le tre boutique in Russia (l’ultima aperta a San Pietroburgo nei mesi scorsi) a causa delle difficoltà nel trasporto delle merci e nei pagamenti.
La crisi in Ucraina e l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime rischiano di affossare la ripresa in Italia e in Umbria. Il cui effetto più evidente era appunto dato dai risultati dell’export nello scorso anno.
In Umbria, tra gennaio e dicembre 2021, sono stati esportati all’estero beni e servizi per un valore pari a 4,6 miliardi di euro (a valori correnti), registrando un incremento nel 2021 rispetto all’anno precedente pari al +23,4%, superiore al dato italiano (+18,2%) e a quello di tutte le regioni del Centro: Toscana (+16,8%), Marche (+15,6%), Lazio (+11,5%).
L’assessore regionale allo sviluppo economico, Michele Fioroni, commentando la nota dell’Istat sottolinea che “i dati recenti sono una prima dimostrazione che le misure di supporto all’internazionalizzazione messe in campo dall’amministrazione regionale stanno portando i loro frutti. Per tutto il corso del 2021, abbiamo cercato di rendere i nostri strumenti flessibili, in modo da essere efficaci anche in situazioni altamente instabili, come quelle che stiamo vivendo”.
L’assessore aggiunge: “Il dato di oggi è un dato significativo, perché l’Umbria passa da fanalino di coda, ad essere la migliore regione del centro Italia. Nonostante questo sappiamo che la sfida dell’export è complessa e in quest’ottica il 2022 vedrà implementata una vera e propria manovra sull’internazionalizzazione”.
Fioroni ricorda che nei prossimi mesi sarà operativo sia l’Osservatorio per l’internazionalizzazione che un importante progetto di formazione sull’export, rivolto alle PMI del territorio “di cui i dettagli verranno offerti a breve ma che vedrà un soggetto di eccellenza come Luiss Business School operare al fianco di Arpal per permettere alle imprese del territorio di fare effettivamente quel salto di qualità nelle loro strategia di export, che è impossibile senza una solida formazione”.