Un pomeriggio ad Isola del Libro Trasimeno per parlare di giustizia in Italia, con due ospiti come Piercamillo Davigo, presidente dell’Anm e Fausto Cardella procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia. I due magistrati, hanno svolto carriere in parallelo, confrontandosi con le massime inchieste della storia del nostro Paese.
Negli stessi anni in cui Davigo faceva parte del pool di “Mani pulite”, Cardella era in Sicilia ad affrontare le indagini sulle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Oggi questi uomini dello Stato, moderati dal giornalista Riccardo Marioni, hanno parlato di come è possibile immaginare una riforma della giustizia italiana partendo dalla riduzione del numero dei processi che vede l’Italia in testa ad una classifica che racconta riti interminabili e prescrizioni che spesso vanno a solo vantaggio di chi ha commesso reati.
Davigo, che nel suo “Processo all’italiana” (scritto a quattro mani con Leo Sisti) con un uso abbondante dell’efficace strumento dell’ironia, ha descritto il processo, in un libro che spiega come funziona la giustizia in Italia e cosa vogliono dire parole chiave come patteggiamento, rito abbreviato, udienza preliminare, depenalizzazione, prescrizione. E Davigo propone una cura a costo zero per uscire dai “gironi infernali” dei tribunali del nostro paese.
Bastano poche misure, secondo il presidente dell’Anm, anche banali per ovviare a rinvii continui ed esasperati, per eliminare montagne di carte; per rivedere il patteggiamento e il rito abbreviato, i due riti alternativi che non hanno dato i risultati attesi; per consentire gli appelli solo dopo una loro selezione; per rendere effettive le depenalizzazioni, mai adeguatamente realizzate; per mettere la parola fine all’interminabile polemica sulle intercettazioni.
“Il processo italiano non solo è complicato, ma anche schizofrenico”, secondo Davigo e il rimedio principale “non sta tanto nella modifica di questa o quella norma, quanto nel tornare, noi, a essere un popolo serio”. Alla data del 30 giugno 2011 la massa dell’arretrato nei tribunali italiani era pari quasi a 9 milioni di processi. I tempi medi necessari per la definizione di una causa sono arrivati a più di 7 anni nel civile e a quasi 5 anni nel penale. “I nostri processi sono elefantiaci e la magistratura si scontra con procedure che richiedono anni”.
Nella classifica della Banca Mondiale l’Italia è al 158° posto, su 183, per la durata dei procedimenti e per l’inefficienza della giustizia: un dato sconcertante, che ci vede preceduti persino da Togo, Isole Comore, Indonesia e Kosovo. “Il processo si fa per sapere chi sono i colpevoli – è stato detto- ma un innocente non dovrebbe arrivare al giudizio e questo è possibile con uno sbarramento forte all’udienza preliminare. Da noi abbiamo una percentuale di assoluzioni sconosciuta negli altri paesi. Il processo con questi tempi e modalità è già una pena ed un istituto che tutela i colpevoli, come nel caso del sopraggiungere della prescrizione. Se però il processo fallisce il suo scopo di individuare l’autore dei reati nel frattempo ha colpito magari una vittima che è andata a testimoniare esponendosi a rischi gravissimi senza vedere una condanna. Ci si dimentica che i diritti delle vittime valgono quanto quelli degli imputati”.
“Il testimone oggi – ha sottolineato Cardella – nella formula di rito non ‘giura’ ma ‘si impegna’, che sa tanto di monte di pietà, ma si impegna davanti a chi? Che cosa impegna non si sa.. sarà per questo che davanti a noi, nel nostro paese, il testimone che mente non sembra compiere un’azione così deprecabile e disdicevole come invece è considerata in altri paesi”. E proprio sul costante confronto con gli altri paesi si è sviluppato parte dell’incontro. “La ragione per cui in Italia tutti appellano è che c’è la non colpevolezza fino a sentenza definitiva, all’estero sei già colpevole con la sentenza di primo grado. Del resto, perchè un condannato in primo grado non dovrebbe tentare la via dell’appello, visto che ne può trarre solo eventuali benefici e nessuno svantaggio anche se colpevole? Basterebbe introdurre delle norme che rendano sfavorevole l’appello a fronte della colpevolezza”.
Oggi da Davigo tutti vogliono sapere cosa ne pensa della nuova riforma del sistema giudiziario e quali consigli darebbe. “Si è partiti con i metodi sbagliati – ha spiegato – Sono partiti da un’idea balzana e cioè che la verità non è conoscibile agli uomini. Cioè che la verità non esiste. Invece io credo che esista, c’è una differenza tra autori del delitto e vittime. Perchè si dice che la verità storica non esiste esiste quella processuale. Una volta quando facevo il pm esaminai un testimone estraneo al mondo giudiziario e gli chiesi di riferire i fatti… e disse ‘io confermo quello che dissi ai carabinieri e al pm’… e si stupì quando il giudice gli disse che non conoscevano quegli atti ‘e allora come fate a giudicare’, disse lui… io volevo alzarmi ed andarlo ad abbracciare per la verità che aveva appena detto. Perchè di solito i testimoni sono ufficiali di pg che il codice prevede possano consultare gli atti (che il giudice non può leggere) e leggerli in aula, così trascriviamo un atto scritto in una trascrizione che viene letta e trasmessa su altro atto scritto”.
E sulla sospensione della pena Davigo intravede un’altra possibile soluzione (ovviamente sui reati minori): “Tutti sanno che esiste la sospensione della pena in esito a sentenza, ma non sarebbe meglio farlo per l’intero processo? Cioè sei incensurato non ti faccio il processo ma se torni di nuovo a giudizio ne fai un altro ti giudico per questo e per quell’altro. Piccoli accorgimenti che riducono drasticamente il carico dei tribunali”.
Ma oggi qual’è il nemico più pericoloso per la legalità? “La criminalità dei colletti bianchi è più pericolosa della criminalità da strada ma nelle carceri italiane abbiamo molti più detenuti per reati di criminalità da strada che non colletti bianchi”.