“Io positivo al Covid, ingiustamente trattato come un untore insieme alla mia famiglia”. E’ positivo al Coronavirus, come lui stesso temeva, il ragazzo rientrato in Umbria dalla Sardegna, dove era per lavoro. Pochi giorni fa aveva raccontato a Tuttoggi.info la sua vicenda, gli accorgimenti assunti da subito per evitare contatti con le persone, a cominciare dai familiari. E le tante richieste alla Asl per riuscire a farsi sottoporre a tampone, mentre era in quarantena volontaria.
Coronavirus, i contagi in Umbria
Tampone che poi, come temeva, è appunto risultato positivo. Del resto, nei locali vip della Sardegna in cui ha lavorato e in generale nelle zone frequentate nelle ultime settimane per lavoro sono stati numerosi i casi di Covid riscontrati. Per lo più di asintomatici, come è nel suo caso.
Per questo, già prima di rientrare in Umbria in auto, aveva avvertito i familiari, trovando una soluzione per vivere da solo in un appartamento, senza avere contatti con i familiari, conoscenti o altre persone. Gli unici che sono venuti a contatto con lui, entrando nell’appartamento in cui si è subito messo in isolamento, sono stati gli operatori della Asl che, con tutte le protezioni, gli hanno effettuato il tampone.
Ma la notizia della sua positività al Covid, circolata anche a seguito di alcuni post sui social, sta penalizzando lui, ingiustamente additato come un possibile untore, e addirittura la sua famiglia. Che non è sottoposta ad isolamento fiduciario da parte delle autorità competenti, proprio perché non ha avuto alcun contatto con il ragazzo.
“Mi lasciano la spesa fuori dalla porta di casa – racconta – che io prendo indossando la mascherina. Accorgimenti anche eccessivi, ma abbiamo scelto di assumere ogni precauzione così da eliminare ogni possibile rischio di contagio. Ma l’accortezza avuta nei confronti delle persone – commenta con amarezza – si ritorce contro me e la mia famiglia”.
La gente, perché disinformata o per pregiudizio, ha paura. E così sono arrivate richieste ai genitori di restare a casa e di non recarsi nei luoghi tradizionalmente frequentati. Nonostante non siano sottoposti a quarantena fiduciaria. “I miei familiari – lamenta – sono diventati persone da evitare -. Mamma non può andare neanche ad aiutare nei luoghi che frequenta, papà viene invitato a non entrare in alcuni locali”.
Una situazione peggiorata dal fatto di vivere in un piccolo centro. Cosa che offre tanti vantaggi positivi, ma che in questi casi, paradossalmente, aumenta le distanze tra le persone. A causa di paura, pregiudizio e ignoranza.
Eppure, proprio in Umbria, ci sono invece dei casi, anche nei piccoli centri, dove è scattata la gara di solidarietà per aiutare persone o famiglie in quarantena. Non qui, però. E tutto questo, per aver richiesto da subito di essere sottoposto a tampone.
“Tante persone, che in vacanza o per lavoro hanno frequentato località della Sardegna o di altre zone dove si sono registrati numerosi contagi – evidenzia – non vanno proprio a fare il tampone. Perché asintomatiche. Non pensando, in questo modo, di poter essere veicolo di contagio. Però non è possibile che chi invece fa una scelta responsabile debba dapprima dover insistere per essere sottoposto a tampone e poi, in caso di esito positivo, vedersi ingiustamente bollato come un untore. Con pressioni anche sui familiari con i quali non ha avuto contatti. Sulla base della mia esperienza e di quello che sto vedendo altrove – è il suo messaggio – le persone non devono essere portate a fare la scelta di far finta di nulla qualora siano state sottoposte a situazioni potenzialmente rischiose. Ma purtroppo – conclude con comprensibile amarezza – se questo è il trattamento ricevuto ti ci portano a fare simili scelte. Che sono, quelle sì, irrispettose e pericolose per la comunità”.