Inquinamento in Umbria, il rapporto Mal'Aria di Legambiente | Terni la città 'peggiore' - Tuttoggi.info

Inquinamento in Umbria, il rapporto Mal’Aria di Legambiente | Terni la città ‘peggiore’

Redazione

Inquinamento in Umbria, il rapporto Mal’Aria di Legambiente | Terni la città ‘peggiore’

Con i dati delle rilevazioni di ARPA aggiornati al 20 gennaio gli sforamenti delle quantità limite di Pm10 dall’inizio dell’anno a Terni sono avvenute 17 volte in 20 giorni, a Città di Castello 15, a Foligno 13 e a Perugia 10
Ven, 24/01/2020 - 09:20

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Come ogni anno di questi tempi con il dossier Mal’Aria di Legambiente ci troviamo a commentare gli stessi allarmanti dati sull’inquinamento atmosferico, in particolare da polveri fini e ozono dell’aria delle principali città umbre: Terni, Città di Castello, Foligno e Perugia in particolare.

Per le polveri fini come ogni inverno, e anche in questo, oltre ai fenomeni naturali e alle polveri secondarie, sono le attività antropiche dovute al traffico, agli impianti di riscaldamento (in primis i vecchi caminetti e stufe a legna), e, ove ci sono, alle industrie, ad aver fatto salire alle stelle le polveri fini (Pm10 e Pm2.5).

Con i dati delle rilevazioni di ARPA aggiornati al 20 gennaio gli sforamenti delle quantità limite di Pm10 dall’inizio dell’anno a Terni sono avvenute 17 volte in 20 giorni, a Città di Castello 15, a Foligno 13 e a Perugia 10. Finché non piove il bilancio peggiora, giorno per giorno. L’unica risposta possibile all’emergenza saranno il blocco del traffico nei centri e le ordinanze contro l’accensione di stufe e caminetti, che rappresentano però di fatto poco più di un palliativo, in attesa della pioggia…

Ovviamente in ciascuna città, il peso delle differenti sorgenti cambia, ma uno studio del 2016 di ARPA Umbria ha provveduto a identificare le sorgenti delle polveri Pm10 di queste quattro città e il peso di ciascuna sulle quantità di polveri emesse. Così sappiamo ad esempio che a Perugia e a Terni la fonte principale di polveri è il traffico dei mezzi a motore, mentre a Città di Castello sono gli impianti di riscaldamento (e come detto in particolare la combustione di biomassa) a costituire la fonte principale di polveri.

L’inquinamento è un fenomeno che riguarda tutte le persone ma, in realtà, l’EEA evidenzia come una parte della popolazione sia più colpita dall’inquinamento rispetto ad un’altra per via della maggior esposizione ai rischi ambientali: risultano più esposte all’inquinamento atmosferico tanto le fasce di persone meno abbienti quanto le fasce deboli, più comunemente conosciute come i bambini e gli anziani. L’inquinamento ha anche un impatto economico se si considerano i costi sanitari associati, l’accorciamento dell’aspettativa di vita, le morti premature e le giornate di lavoro perse. A pagarne le conseguenze, come sempre, sono i cittadini. Ogni anno sono infatti oltre 60mila le morti premature in Italia dovute all’inquinamento atmosferico che determinano un danno economico, stimato sulla base dei costi sanitari comprendenti le malattie, le cure, le visite, i giorni di lavoro persi, che solo in Italia oscilla tra 47 e 142 miliardi di euro all’anno (330 – 940 miliardi a livello europeo

Un articolo pubblicato sul British Medical Journal a dicembre 2019 ha evidenziato una correlazione fra l’esposizione prolungata, e anche a breve termine, a livelli anche nella soglia polveri sottili come a PM2.5 e ospedalizzazioni specie per insufficienza cardiaca congestizia, polmonite, aritmie cardiache e setticemia.

Anche a livelli di inquinamento da PM2.5 inferiori alle soglie fissate dalle linee guida internazionali sulla qualità dell’aria, l’esposizione è associata a diverse cause recentemente identificate di ricoveri ospedalieri. Ogni aumento di 1 µg/m3 di PM2.5 è stato associato a 2.050 ricoveri extra ospedalieri e a 12.216 giorni di ospedale.

Poi oltre alle polveri fini ad inquinare l’aria concorrono anche altre sostanze come l’ozono, gli ossidi di azoto e il monossido di carbonio. Per questi ultimi inquinanti quasi sempre la fonte principale è il traffico, ma al contrario delle polveri fini, e in particolare per l’ozono, i periodi peggiori sono quelli caldi estivi tra aprile e settembre. Come riporta lo stesso dossier Mal’Aria, Terni nel corso dello scorso anno ha avuto ben 47 sforamenti dei limiti di legge per l’ozono facendo balzare la città tra le più inquinate anche a livello nazionale.

Sappiamo quasi tutto del problema, eppure non facciamo nulla. La risposta tipica di molte amministrazioni comunali, di fronte alle denunce di associazioni e cittadini preoccupati, sono sempre evasive e deresponsabilizzanti: è colpa del tempo perché non piove mai… è così ogni anno e quindi non è colpa di questa amministrazione… è colpa delle amministrazioni precedenti che non hanno fatto niente…
Questo un esempio del campionario di scuse messe in campo dagli amministratori pubblici, un campionario scadente e irritante quasi quanto l’aria che siamo costretti a respirare in questi giorni. In realtà oltre al rispetto delle prescrizioni emergenziali, a cui peraltro mancano quasi sempre controlli efficaci per l’effettiva applicazione, ai sindaci sarebbe chiesto anche di attivarsi finalmente anche su interventi strutturali, come diverse associazioni chiedono da tempo in tutte le città della regione, interventi che sono poi peraltro anche quelli previsti dallo stesso Piano Regionale di Qualità dell’Aria. Puntualmente disatteso.

Essenzialmente quello che servirebbe è agire sui due ambiti dove un comune può orientare di più e meglio la propria azione, traffico e riscaldamento. Come? Beh come ripetiamo da tanti, troppi, anni…
Iniziare con ridurre l’uso dell’auto e del motore in genere a favore di modalità alternative meno impattanti (mezzi di trasporto collettivo, ciclabilità e pedonalità); rendere progressivi e stringenti i limiti alla circolazione in maniera permanente ed estesa in tutto l’ambito urbano, senza deroghe per i veicoli di ultima motorizzazione (compresi gli Euro6); ridurre le esigenze di spostamento delle persone/delle merci riorganizzando gli spazi e i sistemi di vita delle città, in modo da ridurre all’origine l’esigenza di spostamento e le distanze percorse con mezzi a motore.

Per i riscaldamenti si potrebbe invece intanto attivarsi per comunicare ai cittadini incentivi e opportunità di ammodernare i propri caminetti e stufe tradizionali in più moderni ed efficienti apparecchi come termocamini e stufe ad alta efficienza; efficientare il parco edilizio pubblico (scuole, uffici, ospedali etc.) riducendo il consumo di energia necessario per il riscaldamento invernale, e spingere per l’efficientamento degli edifici privati modificando opportunamente i regolamenti edilizi e informando sugli incentivi a disposizione.

Per il settore industriale infine occorre dare priorità a strumenti come l’Autorizzazione integrata ambientale e l’applicazione delle migliori tecnologie per ridurre le emissioni delle industrie; prevedere programmi di innovazione e riconversione rispetto alle tecnologie e alle lavorazioni maggiormente inquinanti; dotarsi di sistemi di monitoraggio in continuo da installare sui camini e sulle fonti emissive.

Oppure vogliamo ancora continuare a non fare nulla e dare la colpa alla pioggia, alla geografia, al vento, alla nebbia a cui si potrebbero opporre solo deliranti progetti come quello, allora famosissimo, del tranviere Piero Diacono che quarant’anni fa propose in tv di “aprire una finestra” per cambiare l’aria della Pianura Padana demolendo un monte?

L’articolo completo con tabelle e grafici su https://www.legambienteumbria.it/la-malaria-umbra-ogni-anno-dinverno-laria-diventa-irrespirabile-sappiamo-perche-e-sappiamo-come-migliorare-la-situazione-eppure-non-facciamo-nulla/

Il dossier Mal’aria https://www.legambiente.it/malaria-di-citta/

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