Inchiesta PopSpoleto, Procura “Dominus dirigeva associazione a delinquere” / Tutte le accuse - Tuttoggi.info

Inchiesta PopSpoleto, Procura “Dominus dirigeva associazione a delinquere” / Tutte le accuse

Redazione

Inchiesta PopSpoleto, Procura “Dominus dirigeva associazione a delinquere” / Tutte le accuse

Sab, 01/06/2013 - 20:45

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Carlo Ceraso
“Si associavano per commettere più delitti in danno della Bps utilizzando l’istituto, di cui avevano il controllo in virtù delle cariche apicali rivestite, per ottenere risorse finanziarie destinate a società e/o persone fisiche a loro vicine”. E’ solo uno dei passaggi dell’ordinanza firmata dai pm Riggio e Albano che a dieci dei 34 indagati hanno contestato uno dei reati più gravi del codice penale, l’associazione a delinquere. A capo della quale c’era Giovannino Antonini il quale “agendo quale ‘dominus’ della BPS dirigeva e organizzava l’associazione potendo sfruttare le sue conoscenze e i suoi rapporti” con dirigenti e funzionari dell’istituto  ai quali presentava “i clienti da favorire nel ricorso al credito bancario e sollecitava la definizione delle relative operazioni creditizie, avendo anche un interesse economico diretto al buon esito delle stesse”.
Un reato che viene contestato non solo all’ex presidente di banca Bps prima, e holding Scs poi, ma anche ai due figli, Alberto e Francesco (“procedevano al ritiro delle dazioni monetarie corrisposte dai clienti di volta in volta favoriti provvedendo al loro versamento su conti correnti del padre”), dei dirigenti Pallini (la posizione dell’ex d.g. si aggrava ulteriormente rispetto all’avviso di garanzia del 2011 per ostacolo alle autorità di vigilanza), Siena e Quartucci, dei funzionari Calistroni, Magnini e Mora e dell’imprenditore De Rosa (“presentava all’Antonini clienti che poi venivano finanziati da Bps e si adoperava per fargli conseguire i proventi della intermediazione illecita”).
L’affaire Baronci – bisogna scorrere 21 delle 25 pagine dell’avviso di conclusione indagini l’inchiesta – che Tuttoggi.info ha potuto esaminare – prima di arrivare al pesante capo di imputazione. Non che quelle prima siano rose e fiori. Anzi. Appare evidente da subito che l’inchiesta parte da lontano, dal 2009 per la precisione (il procedimento è il 319/09), ovvero dalla bancarotta fraudolenta contestata in questi giorni a Massimiliano Baronci, amministratore unico della Baronci Costruzioni Generali, società fallita in quell’anno con un ‘buco’ di 7,1 milioni di euro. Nonostante nei due anni precedenti avesse ottenuto più di 4 milioni di euro fra linee di credito accordate da PopSpoleto (3,2 mln) e anticipi su fatture e contratti di appalto stipulati per lavori edili eseguiti all’ex dominus e ad uno dei suoi figli.
Reato, quello della bancarotta fraudolenta, contestato anche a Giovannino e Alberto Antonini, a Pallini, Siena, Quartucci, Conticini e Mora. L’ultima operazione in favore dell’imprenditore di Campello venne approvata addirittura il 7 aprile 2008 con una delibera d’urgenza di Antonini che – con il parere favorevole del management – innalzò la linea di credito da 2,2 mln a 3,2, nonostante la società fosse già in “stato di decozione”.  Baronci finisce  inoltre nella carte della Procura anche per evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, mentre ad Antonini viene contestata anche “l’omessa comunicazione del conflitto di interessi” avendo commissionato alla ditta “lavori edilizi di sua proprietà e del di lui figlio”.
E non è finita. I pm si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio per l’ex padre-padrone, l’ex presidente dei revisori Fesani e Pallini per ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità di Vigilanza: secondo un documento firmato dal terzetto il 22 settembre 2007 inviato a Bankitalia, Antonini avrebbe pagato una fattura da 180mila euro anticipata a Baronci dalla banca sulla quale compariva la regolare esecuzione dei lavori e l’intervenuto pagamento della fattura. Una dichiarazione falsa per gli inquirenti atteso “l’intervenuto storno della fattura con nota di credito n. 100 bis del 29 ottobre 2007 emessa dalla Baronci Srl”.
Le aziende coinvolte – ma non è solo la Baronci ad aver ‘beneficiato’ degli aiuti che per gli investigatori sarebbero stati allegramente concessi da amministratori e funzionari della Popolare. Ed è qui che l’inchiesta si fa più complicata e si intuisce come il lavoro della Guardia di finanza sia stato lungo e certosino. Almeno 5 le operazioni sulle quali gli investigatori sono convinti che siano state disattese le regole sul credito. Come nel caso dei 31 milioni di euro concessi a una nota società immobiliare meridionale e per il quale i pm hanno ipotizzato l’ipotesi di appropriazione aggravata in concorso ai dirigenti Tuccari, Quartucci, Siena e Conticini, a buona parte del Cda (D’Atanasio, Zuccari, Benotti, Carbonari, Chiocci, Conti, Di Giovanni, Umbrico e Amoni) che avevano approvato a maggioranza la delibera (contrari i membri in quota a Monte Paschi Siena e il professor Lombardi), all’imprenditore e ad Antonio Di Matteo, già d.g. della commissariata banca Tercas, che aveva fatto da intermediario fra la società immobiliare e La Bps. Per l’accusa le garanzie poste a pegno del finanziamento (circa 31 mln di Btp a scadenza 2039, 4,5 mln di azioni della Tercas – sospesa dalla negoziazione – e Caripe e ipoteca su due immobili) non sarebbero state sufficienti ad avallare l’operazione.
C’è poi il finanziamento da 2,5 mln concesso alla Collestrada Wood Spa del presidente Bifolchi mediante conto corrente ipotecario: la procura non solo contesta che l’operazione (siamo al luglio 2011) venne autorizzata ad una società neocostituita, ma soprattutto che i beni immobili messi a garanzia vennero stimati da tecnico della società edile “in 15 milioni di euro con spropositata rivalutazione rispetto al valore di acquisto degli stessi avvenuto solo l’anno precedente, pari a 2,5 mln”. La Collestrada Wood era inoltre partecipata da una società detenuta a sua volta al 50% da una S.r.l. già “classificata ad Incaglio presso la Bps con protesti e segnalazione a sofferenza sin dal maggio 2011”. Per questo rischiano di finire sotto processo per appropriazione indebita il dirigente Siena e l’imprenditore Bifolchi in concorso con l’ex revisore dei conti della holding Scs Dante Cerbella che al tempo era anche presidente del collegio sindacale della Collestrada Wood.
Un’altra operazione sospetta è quella approvata da Tuccari, Conticini, Siena e Quartucci in favore della Colella Holding S.r.l. di Camillo Colella (a tutti viene contestata l’appropriazione indebita): nonostante il parere negativo della Centrale Rischi, venne autorizzato un finanziamento “bullett a 24 mesi” per 5 milioni di euro. Copione più o meno simile anche per il finanziamento concesso per 753 mila euro alla Gam Property Srl (anche in questo caso si profilo il reato di appropriazione indebita che è stato contestato a vario titolo, oltre che al dominus, a Bietta, Calistroni, Magnini, Mora, Siena, Monaldi, Laganà e De Rosa) e al professionista Paolo Rossi per un finanziamento ipotecario da 400mila euro (per il quale si intravede la richiesta di rinvio a giudizio per Antonini, Siena, Quartucci, De Rosa e lo stesso Rossi).
La mediazione usuraria – le ultime due operazioni (Gam Property, Rossi) contestate dalla procura vedono aggravare la posizione degli Antonini, padre e figli: per la prima l’ex dominus avrebbe ottenuto un assegno circolare da 50mila euro (a presentarsi all’appuntamento fu il figlio Alberto che lo avrebbe ricevuto dall’autista del Monaldi), per la seconda due assegni da 30mila e 10mila euro (a prelevarli in questo caso sarebbe stato il figlio Francesco). La mediazione usuraria viene anche contestata per 3 assegni ammontanti a 120mila euro che l’imprenditore Antonio Gentile (indagato a luglio scorso ma prosciolto da ogni addebito proprio in questi giorni) avrebbe consegnato al figlio di Antonini, Alberto, per l’interessamento avuto in merito al raddoppio di una apertura di credito e all’apertura di un fido di conto anticipi per due società del Gentile. Compensi, quelli ricevuti dall’ex presidentissimo, ritenuti dai pm “usurari avuto riguardo al tasso medio praticato” fra il 7% e il 10% contro l’1,34% determinato al tempo dei fatti dal Ministero dell’Economa e delle Finanze per i mediatori creditizi. A Giovannino Antonini gli inquirenti contestano anche l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria.
Ancora “Baronci” – l’inchiesta giudiziaria coinvolge la maggioranza del Cda, ad eccezione dei membri in quota a Mps e al prof. Lombardi, per un’altra presunta appropriazione indebita (nel mirino Antonini, D’Atanasio, Zuccari, Benotti, Carbonari, Chiocci, Conti, Di Gianni, Umbrico, Amoni e Tuccari). Quella relativa ai 180mila euro che fra il giugno 2009 e l’aprile 2010 Giovannino Antonini, quale debitore ceduto, aveva dovuto rifondere a Bps. Nonostante il parere contrario dei revisori dei conti, il Cda, che poteva però contare sul parere favorevole del d.g. Tuccari, deliberò la restituzione della somma ad Antonini. Qualche guaio il collegio sindacale (Fesani, Nannucci, Turchi), che pur aveva detto ‘no’ al dominus,  potrebbe comunque correrlo non avendo informato la Vigilanza dell’operazione approvata dal board: la procura contesta ai tre revisori l’ostacolo alle funzioni delle autorità della Vigilanza.
La difesa – gli avvocati dei 34 coinvolti nell’inchiesta si preparano a dare battaglia nelle aule di giustizia, anche se nessuno intende svelare la propria strategia difensiva. Chi sembra voler approfittare dei 20 giorni concessi dal codice penale per farsi sentire dai magistrati è l’ex presidente D’Atanasio: “lunedì sarò dal mio avvocato di Roma” dice a Tuttoggi.info “e chiederò di essere ascoltato quanto prima dai pubblici ministeri perché ritengo di aver sempre operato bene e in maniera trasparente. Ribadisco la mia serenità e la piena fiducia nella magistratura”. Al Giornale dell’Umbria in edicola oggi, ha parlato invece Giovannino Antonini: “sono accuse inesistenti, non sono responsabile di nulla e lo dimostrerò quando sarà il momento” ha detto. Nessun commento da parte degli avvocati che, probabilmente, aspettano di conoscere le carte dell’inchiesta (si parla di migliaia di pagine), ovvero le prove in mano ai pm Riggio e Albano. Da una attenta lettura dell’avviso di conclusione indagini sembra facile ipotizzare che gli inquirenti (il Nucleo di polizia valutaria della Finanza di Roma) abbiano fatto ricorso sia alle intercettazioni telefoniche che ai pedinamenti di alcuni degli indagati. Non a caso, a sentire fonti investigative, potrebbero esserci ulteriori, clamorosi colpi di scena.
La paura fa 90 – certo è che il terremoto giudiziario ha scosso anche molti ex amministratori del passato dei due istituti di credito, alcuni dei quali, ai primi lanci di agenzia, hanno contattato i rispettivi difensori (ma anche queste colonne) per saperne di più circa eventuali loro coinvolgimenti. Quando si dice che la paura fa “90”. Un altro numero che rischia di comparire sulla ruota di Spoleto, da affiancare al “34” (i coinvolti nell’inchiesta) che poi è multiplo del “17” (gli indagati di luglio 2012). Poi dice che il 17 porta sfortuna.

Riproduzione riservata – Modificata per appello al diritto all’oblio il 18 maggio 2021

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