Nel secondo trimestre dell’anno cresce in Umbria il degli occupati (più 5 mila unità su base annua, fino a 358mila), ma si tratta di lavoro precario, perché solo il 16% sono assunzioni a tempo indeterminato.
Il presidente di Ires Cgil, Mario Bravi, commenta i dati Istat sull’occupazione nella regione. Dati che, contemporaneamente, mostrano una riduzione dei disoccupati che scendono a 35 mila unità (- 8 mila rispetto al trimestre precedente e -6 mila rispetto allo stesso trimestre del 2017).
“Indubbiamente – commenta Bravi – dopo molte rilevazioni che andavano in direzione esattamente opposta, si tratta di segnali positivi che vanno giustamente valorizzati. Ma per evitare giudizi acritici e superficiali e che si tratti di una parentesi meramente statistica, è utile e opportuno sottolineare i punti di criticità strutturali che permangono“.
Bravi aggiunge: “La qualità dell’occupazione che si è realizzata nel primo semestre è incentrata sulla precarietà e sulla provvisorietà. L’Osservatorio nazionale dell’Inps ci conferma che, le assunzioni a tempo indeterminato attivate nel primo semestre 2018 sono soltanto il 1, quindi oltre l’80% dei rapporti di lavoro “nuovi” sono poveri e precari. Inoltre, le cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono superiori alle attivazioni”.
Da qui, la ricetta di Ires Cgil: “Per consolidare la crescita dell’occupazione occorre puntare sui diritti del mondo del lavoro, evitando il fenomeno crescente dei “working poors” cioè di chi pur lavorando rimane povero. Questo spiega perché il Pil per unità di lavoro – evidenzia Bravi – rimane in Umbria molto al di sotto della media nazionale, collocandosi a quota 87,2% con un –12,8% rispetto alla media del nostro Paese“.
Inoltre, l’andamento del Pil complessivo per Bravi non è sufficiente, alle condizioni date, a sostenere la necessaria qualità della crescita. Infatti, tra il 2008 e il 2014 abbiamo perso il 17,1% del Pil, di fronte ad una perdita a livello nazionale pari all’8,6% e dopo aver avuto in Umbria un +2,6% nel 2015, abbiamo chiuso in negativo sia il 2016 che il 2017(anche se manca il dato definitivo di ISTAT, ma Svimez stima un – 1% per quanto riguarda il 2017).
“Non a caso – afferma Bravi – i dati recentissimi del ministero del Lavoro confermano queste valutazioni. Nei primi 6 mesi 2018 sono stati attivati 36.266 rapporti di lavoro, corrispondenti a 28mila lavoratori (visto che la estrema precarietà spinge il lavoratore ad attivare più rapporti) e sono cessati 34.269 contratti corrispondenti a 25.550 lavoratori, con una differenza positiva pari a 2.450 unità. Quindi, è un dato l’aumento dell’occupazione, insieme all’accentuarsi ulteriore della precarietà, visto che meno di un contratto su 5 è a tempo indeterminato (il 16,2%) e inoltre c’è da sottolineare che il 74% delle attivazioni avviene nel comparto dei servizi. Se vogliamo, com‘è evidentemente auspicabile, consolidare l’aumento dell’occupazione ed evitare che il dato del secondo trimestre 2018, costituisca una parentesi in un quadro che rimane pesantemente negativo – conclude il presidente di Ires Cgil – dovremmo cercare di sciogliere positivamente alcuni dei nodi che precedentemente abbiamo provato ad indicare“.