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Il soprannome della Cosa

Personaggi
Guglielma da Toderville
Avvocadso, il novizio affidato a Guglielma
Biondaccio Guay, l’inquisitore, già scrivano della Santa Sede
Abatessa Porzone
Chianello, il fabbro delle carrozze accusato di eresia
Fra Salvinio, eretico contro la Chiesa e l’Impero
Venerabile Janpie
Giulietto da Otranto, traduttore dall’altotiberino
Solino, l’erborista
Ubertino da Assisi, eretico ufologo
Fioritore, seguace di Fra Salvinio
Smalachia da Gubbio, bibliotecario esperto in interrogazioni
Remigio dalla Conca, eretico cavallettiano
Paparenzio, traduttore dal ternano
Bregario, aiuto bibliotecario
Cardinale Barberino del Poggetto, a capo della delegazione papale
Vescovo Parlatoni, capo delegazione imperiale
Bencio Vinicio da Oplà, trascrittore di testi di retorica
De Vincenzio, il frate civico

Prologo
Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo giornale online testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui mi accadde di assistere all’inizio dell’Anno del Signore 2018. Tempo di Riforme, Controriforme, caccia alle streghe, nelle campagne elettorali senza fine.
Che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto al centro della penisola italiana, in una regione di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome.
Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a rivivere quegli eventi e ricordare l’inquietudine sottile che opprimeva l’animo mio mentre mi appressavo a quelle mura, ai margini dell’italica piazza.

Trama
Un’abbazia del centro Italia è il luogo scelto per ospitare un incontro al fine di dirimere una fondamentale controversia teologica: Renzi, dopo il 4 marzo, possiede ancora o no l’abito che si era cucito addosso? E soprattutto, la vexata quaestio: chi deve difendere l’abbazia, nel 2020, dall’assalto dei nuovi barbari?

Ma un tragico e misterioso evento sconvolge l’incontro tra le delegazioni: all’indomani della tempestosa notte del 4 marzo, Giulietto da Otranto viene trovato seduto per terra, senza una poltrona, sotto la torre di Umbertide.

Le indagini vengono affidate a Biondaccio Guay, l’inquisitore, già scrivano papale. Ma Guglielma da Toderville non si fida ed inizia ad indagare per proprio conto, supportata dal suo novizio, Avvocadso. Questi è convinto che il responsabile di un così atroce delitto sia Chianello, il fabbro delle carrozze.

Mentre cerca di far luce, però, Guglielma deve guardarsi dal bibliotecario Smalachia da Gubbio, che continua a vergare pergamene con su scritte strane parole, tipo “interrogazione” e “mozione”.

Un linguaggio simile utilizza l’eretico cavallettiano Fra Remigio dalla Conca, particolarmente interessato a dove vanno a finire i rifiuti ed altra immondizia. Un altro eretico, seguace di Fra Salvinio, Fra Fioritore, parla invece una strana lingua, a metà tra il ternano e il lumbard. Ed inveisce contro i mori e le presidenti, al grido di “Pozzi…agite!”. Guglielma deve guardarsi da entrambi gli eretici e da quanti altri vogliono impossessarsi dell’abbazia con ogni mezzo.

In odore di eresia è anche Ubertino da Assisi, già dell’ordine francescano, che vede nei segni del momento la fine del mondo annunciata nell’Apocalisse. “La prima tromba – avverte – arriverà dallo spazio”. E ancora: “La seconda tromba avrà la potenza di mille chironomidi”, profezia, questa, che turba particolarmente Avvocadso. Ubertino, però, si quieta grazie ad una pozione lenitiva, a base di essenza di capogruppum, preparatagli da Solino l’erborista, nonostante l’opposizione di Fra De Vincenzio, il civico.

L’abatessa Porzone, stanca di tiri… Mancini, tenta di riportare la calma nella sua abbazia. Insieme al vescovo Parlatoni, incaricato invece di vagare per le altre abbazie della regione cercando, di imporre nuovamente l’autorità imperiale, di cui guida la delegazione. Ma il suo è un compito arduo ed ingrato, tant’è che la delegazione rischia in più occasioni il linciaggio da parte dei popolani.

Le indagini di Guglielma riescono a svelare le trame del Venerabile Janpie, che ha messo nella biblioteca del Palazzo una copia, avvelenata, del Capitale di Marx, convinto così di eliminare tutti i frati un tempo seguaci di dottrine che predicavano l’uguaglianza.

Intanto, dopo quella del capoluogo, una maledizione si abbatte sull’abbazia situata in un luogo vicino alla Cascata delle Marmore.
Bregario si impossessa del libro avvelenato e cerca di portarlo nelle terre del sud, ai confini dell’impero, invitando quanti più frati possibile a leggerlo, ma ne resta anche lui vittima.

Il libro passa allora nelle mani di Paparenzio, il traduttore dal ternano. Bencio Vinicio lo avverte della presenza del veleno e gli fornisce un guanto, per toccarne le pagine senza rischi. Solo che, per pura sfortuna, il guanto fornito da Bencio Vinicio ha un buco in un dito e anche Paparenzio viene così avvelenato.

Ma alla fine anche il Venerabile Janpie, colpito dal suo stesso veleno, sparisce, perso nel labirinto dei palazzi della politica in cui, fino a poco tempo fa, si muoveva con grande agilità da lungo tempo.

L’inquisitore Biondaccio Guay, per sostenere il capo della delegazione romana, il cardinale Barberino del Poggetto, è comunque determinato a perseguire il disegno del Venerabile Janpie. Non riuscendo a colpire la donna che accusa di stregoneria, fa mandare al rogo Avvocadso. Ad accatastare la legna davanti alla Fontana Maggiore sono gli eretici su cui indagava Guglielma da Toderville, scampati al supplizio. Durante la pietosa scena del rogo, mentre Biondaccio Guay chiede di rinunciare a Satana ad un Avvocadso ormai stordito dal fumo, il cardinale Barberino soffia sul fuoco per ravvivare la fiamma, di fronte a Guglielma impotente.

Dalla finestra del suo Palazzo, anche Romizio da Melk, concittadino e coetaneo di Avvocadso, anche se membro di tutt’altro ordine religioso, guarda l’esecuzione, preoccupato.

Scena finale. Guglielma, senza Avvocadso, con l’abbazia ormai in fiamme, si incammina verso un monastero del nord Europa.

Dissolvenza.