(Elisa Panetto)- Ma chi te lo fa fare? Chissà quanti dei 500 studenti dell’Istituto Statale Istruzione Classica “F. Frezzi”, Liceo Scientifico “G. Marconi”, Istituto Tecnico Industriale e per Geometri “Leonardo da Vinci” e Istituto Tecnico Commerciale “F. Scarpellini” di Foligno, tra una pagina e l’altra di “Per non morire di mafia” (Sperling & Kupfer, Milano 2009) hanno posto idealmente al suo autore, Pietro Grasso, questa domanda. Lui, il procuratore nazionale antimafia, magistrato impegnato da trent’anni contro la criminalità organizzata, protetto costantemente dai suoi “cinque angeli custodi”, gli agenti che lo difendono giorno e notte, ha così rivelato loro di essersi anch’egli posto la domanda in occasione del primo maxiprocesso di Palermo (1986-1987). “Lo ricordo come il periodo peggiore della mia attività di magistrato – ha detto – perché ero chiamato a scrivere rapidamente le motivazioni della sentenza di condanna (dopo il lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che aveva portato alla sbarra 475 imputati, ndr). Ero in pratica agli arresti domiciliari per evitare che i condannati potessero uscire per la scadenza dei termini di custodia cautelare. Ecco, in quei momenti ti viene in mente la tipica domanda: ‘ma chi te lo fa fare?’ Poi mi sono detto che il mio dovere era di farlo. Da allora questa esperienza mi ha formato e mi ha convinto che ‘quello è il tuo dovere e devi compierlo fino in fondo, al di là del risultato’. Cerco di trasferirlo ai giovani, sperando che possano credere alla possibilità che i propri sogni possano essere realizzati. Io, ad esempio, ho deciso già da bambino che volevo fare il magistrato: volevo intervenire per dare un’utilità sociale e faccio un lavoro che ancora mi piace e diverte, sarà che nella mia vita ho cercato di realizzare, appunto, i miei sogni. Oggi c’è il pericolo di un disimpegno morale: c’è mancanza di senso civico con la tentazione di farsi gli affari propri ma, invece, occorre compiere il proprio dovere fino in fondo anche di fronte a piccoli successi. La mafia è oppressione, assunzione di un compromesso, privazione di libertà e giustizia. È importante spiegare ai giovani la mia esperienza contro la mafia perché proprio i giovani hanno voglia di cambiare il mondo. Ed oggi non si può più fare la guardia stanca, dobbiamo cercare di pensare in modo diverso. Se gli adulti non riescono a cambiare, fateli cambiare voi”.
“A causa dei suoi impegni non è stato facile avere qui Pietro Grasso, dunque sono contenta e onorata per la sua presenza” ha sottolineato Ivana Donati, coordinatrice del progetto de “‘Il vizio di leggere’: come prenderlo a scuola”, il progetto di educazione alla lettura del Distretto Scolastico n° 7 di Foligno giunto alla sua 15° edizione con 46 appuntamenti in cartellone. Tra questi spicca la sezione “A scuola di giustizia” che, partendo dalle nuove generazioni, si pone l’obiettivo di radicare nella cittadinanza una più solida cultura della legalità, promuovendo tra gli altri, anche in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, nella Sala Rossa del Politeama Clarici, l’appuntamento con il magistrato. Assieme a studenti (c’era anche una classe di Sassari), insegnanti e dirigenti scolastici, all’incontro hanno partecipato anche Rita Zampolini, assessore alla formazione del comune di Foligno, Donatella Porzi, assessore alla cultura della provincia di Perugia e Nando Mismetti, sindaco del comune di Foligno, che ha donato a Grasso una ceramica che raffigura la città: “la città è infatti onorata di averla qui, tutti gli dobbiamo tanto. Foligno è ricca di iniziative che celebrano il 150° anniversario dell’unità d’Italia, legate soprattutto a far rivivere la nostra carta costituzionale e i valori che hanno fatto crescere l’unità del Paese”. “È un Paese che dobbiamo tenere unito e valorizzare perché c’è sempre bisogno di unità di squadra. È un po’ come nel mio lavoro: quando c’è l’accettazione, quando c’è la partecipazione all’idea che deve essere condivisa allora tutto è più facile” gli ha fatto eco il magistrato, sottolineando il contributo del Sud “all’unità d’Italia con l’apporto di quanti si sono ribellati ai Borboni e hanno collaborato con i garibaldini. Un’unità che nasce anche da coincidenze fortunate”.
Nel suo intervento, il procuratore ha ripercorso alcuni eventi che hanno contrassegnato la sua professione, come quella volta che è riuscito ad entrare in possesso del decalogo del “perfetto mafioso”. I “Diritti e doveri” che il “soldato” di Cosa Nostra non può mai trasgredire sono infatti: 1) “Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”; 2) “Non si guardano mogli di amici nostri”; 3) “Non si fanno comparati con gli sbirri”; 4) “Non si frequentano né taverne e né circoli”; 5) “Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se c'è la moglie che sta per partorire”; 6) “Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”; 7) “Si deve portare rispetto alla moglie”; 8) “Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”; 9) “Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie” e 10) “Non può entrare a far parte di cosa nostra “chi ha un parente stretto nelle varie forze dell'ordine”, “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e infine “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”. Un decalogo che, allo stesso tempo, ha fatto sorridere e riflettere i presenti in sala, presenti che sono stati messi di fronte al fatto che anche nella loro regione possa esserci mafia. “Non c’è più un problema di Sud e Nord, oggi la mafia si infiltra in regioni ‘tranquille’, sceglie zone dove può investire e che possano produrre redditività, senza avere tanti controlli. Ora le infiltrazioni avvengono a livello economico, senza la volontà di avere il controllo di un territorio come nel Sud, e diventa molto più difficile trovare le prove per incastrare la criminalità”.
L’intervento si è concluso con alcune domande degli studenti e, rispondendo loro, Grasso ha detto che “in alcuni territori, specie al Sud, è difficile trovare un lavoro. C’è sicuramente un problema di cultura ma come si può parlare di legalità quando una persona deve sfamare i propri figli? Quando non si riesce a soddisfare i bisogni primari, un giovane può entrare a far parte di un’organizzazione che ti garantisce denaro e sopravvivenza. Dunque prima bisogna parlare di quei problemi”. Per quanto riguarda le stragi del ’92, invece, Grasso ha dichiarato che “c’è qualcuno che sa e noi facciamo di tutto per trovare la verità. Non mi stancherò mai di trovare i motivi e le responsabilità. Bisogna insistere, resistere finché non si abbia la collaborazione”.
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