(Carlo Vantaggioli)– Sarà l’età, ma cominciamo a trovare insopportabile l’ordalia divina, che si scatena un secondo dopo la fine del Concerto in Piazza Duomo, forse lo spettacolo più noto del Festival dei 2Mondi di Spoleto.
Normalmente ci si aspetterebbe che il tenore della discussione possa indirizzarsi a fatti concreti come l’esecuzione orchestrale o la direzione della stessa, magari sulla bellezza o meno delle voci, se presenti, ammesso e non concesso che ci siano le conoscenze tecniche necessarie per poter minimamente affrontare l’argomento.
E invece a Spoleto, come nella peggiore tradizione inquisitoria, si inizia un lungo tormentone, tutto italiota sul “mi piace” e “non mi piace” (social media inclusi), intendendo riferirsi con l’uso della parola piacere, al programma eseguito.
Ragionando pacatamente e anche serenamente, una persona con un cervello medio ed in buone condizioni d’uso, si domanderebbe in questo caso, “ma come, il programma del Concerto in Piazza Duomo è pubblicato da mesi, tutti sanno cosa verrà suonato in quel luogo, come mai allora vanno ad ascoltare una cosa che, in teoria, sanno già che non gli piace?”.
Bella domanda! Forse perchè abbiamo abituato in tutti questi anni di Festival (Menotti incluso) il pubblico ad andare al Concerto in Piazza come rito mondano per l’attribuzione della medaglietta del “io c’ero”? O piuttosto perchè in tempi passati il rito del biglietto omaggio era la regola? Certo se una persona dovesse pagarsi di tasca propria oltre 200 euro di settore Gold (il più caro in assoluto di questa edizione), per andare ad ascoltare un programma che anche minimamente può non piacere, le cose sono due: o è uno snob ricchissimo o è un amante del sadomaso.
E se anche si trattasse di un fine conoscitore della musica, critico sapienziale, onniscente e tecnicamente imbattibile, perchè non proferire parola alcuna nel momento della presentazione ufficiale del programma? Aspettiamo l’esecuzione per dire che il concerto “non mi piace, non è adatto al Festival” ?
Ecco perchè l’ordalia non è di nostro gradimento, perchè è lo specchio del paese, un luogo dove la fatica di apprendere è ormai un ricordo perduto nel tempo, ma dove la protervia di voler giudicare senza sapere è ancora a buon mercato e facilissima da esercitare, leggera come la calunnia, “La calunnia è un venticello. Un’auretta assai gentile. Che insensibile sottile. Leggermente dolcemente. Incomincia a sussurrar.”. E a scopo pedagogico non citeremo la fonte del corsivo, lasciandovi la fatica di andare ritrovare da soli l’autore.
Detto questo, nel momento esatto in cui ci siamo seduti in piazza Duomo ieri pomeriggio per ascoltare il concerto di chiusura di Spoleto57, avevamo un solo desiderio, quello di capire come l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai avrebbe eseguito le partiture di Richard Rodgers e Oscar Hammerstein, Frederick Loewe e Alan Jay Lerner, ovvero gli autori più conosciuti in America per il genere comunemente detto Musical.
Senza dilungarsi troppo in trattati scientifici sul tema, basti pensare che tutti gli anni ’40 e ’50, in America, sono stati caratterizzati da questo genere musicale che ha rappresentato per qualche verso una sorta di riscatto nazionale, dopo gli anni della terribile crisi del ’29 e la ripresa avvenuta con il New Deal di Roosvelt tra il ’33 ed il ’37. Il popolo voleva ritrovare la gioia di vivere e di dare un senso alle sofferenze passate. Ecco perchè il successo di Broadway.
Il consulente musicale del Festival dei 2Mondi, Alessio Vlad, di cui si possono discutere alcune scelte in tema di Opera, ha però sempre dato un filo conduttore a quelle che riguardavano il programma da eseguire in Piazza per il concerto finale.
Già nel 2009 con la decisione di programmare le musiche di George Gershwin per la classica chiusura festivaliera, sempre con la conduzione di Wayne Marshall, fu chiara l’attenzione verso i generi musicali più vicini ai nostri tempi e nati storicamente nel nuovo mondo.
Già allora ne nacque una discreta quanto inutile polemica fondata sulla confusione tra Jazz e musica contemporanea, con bestialità dette in piazza del tipo “se volevo ascoltare il jazz allora andavo a Umbria Jazz”, dimenticando, o peggio, non sapendo che Gershwin era andato anche in Europa a studiare le partiture sinfoniche classiche, arrivando a chiedere a Maurice Ravel di fargli da insegnante.
Gli autori delle musiche ascolte ieri in Piazza Duomo, erano tutti musicisti di grande spessore e dai fondamentali solidissimi. Frederick Loewe, ad esempio, aveva studiato con Ferruccio Busoni e Eugene d’Albert al conservatorio di Berlino. Alan Jay Lerner, invece, studiò composizione alla conosciuta Juilliard School (tanta cara al M° Menotti se la vogliamo dire tutta) e collaborò con Leonard Bernstein e Kurt Weill. La coppia Rodgers-Hammerstein, invece, vanta l’incredibile numero di 35 Tony Awards vinti nel corso della loro collaborazione oltre una miriade di altri riconoscimenti.
Si potrà ben dire che una “piccola” traccia nella storia musicale internazionale l’hanno lasciata.
Nel programma del Concerto Finale di ieri, molti dei gradi successi di questi autori, tratti da musical come Oklahoma, con la conosciuta Oh, what a beautiful mornin’ oppure South Pacific con Some Enchanted Evening. E poi la particolarissima March of Siamese children tratta da The King and I ed ancora My Fair Lady, Camelot, la musicalmente complessa On Your Toes, l’amata My Favourite Things tratta da The Sound of Music colonna sonora della trasmissione Fahrenheit di Radio Rai 3 di cui ieri, proprio per il concerto in Piazza , c’era la diretta radiofonica, e brano cover preferito da tantissimi autori contemporanei di tutti i generi musicali.
Una Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai eccellente e forse una delle poche in grado, per malleabilità ed esperienza, a poter rendere il suono di queste composizioni pieno e rotondo anche in condizioni oggettivamente non facili come in Piazza Duomo. Prova ne è un piccolo incidente di percorso accaduto all’inizio del concerto quando un oggetto, la cui natura è ancora sconosciuta, è rotolato sulla tastiera di un impietrito porfessore di pianoforte che stava attaccando la sua partitura, suonando così per una frazione di secondo una “variazione sul tema” di cui crediamo, tutti si sono accorti.
Nel complesso una splendida esecuzione diretta con autorevolezza da Wayne Marshall, ormai una colonna portante nella conduzione di questo genere di partiture e di cui forse ci sono mancate le gag da musical, come quelle viste nel 2009, quando abbandonò la direzione per qualche minuto sedendosi tra la fila dei tromboni a godersi la musica di una perfetta Orchestra Verdi di Milano.
Discorso a parte per il baritono Paolo Szot e per la soprano June Anderson.
Senza nulla togliere alla bravura dei due cantanti, per i quali parlano ovviamente le loro carriere, troviamo che la parte del canto inserita in un concerto come quello di ieri, sia diminuita in importanza, nell’esecuzione generale. Il canto infatti nel Musical ha un senso se incluso in un lavoro complessivo fatto di scene, costumi, luci, movimenti coreografici etc. A Spoleto invece in alcuni momenti , ha rappresentato quel “di più” che sposta l’attenzione dei presenti meno smaliziati, solo sull’esecuzione vocale.
In ogni caso davvero molto bella la voce nei registri medi di Szot e perfetta ed adatta la Anderson in un pezzo glorioso come My Favourite Things.
Al termine molti applausi e due bis chiesti e concessi, con Shall We Dance cantata da June Anderson e una simpatica Blue Moon orchestrata in forma di beguine cantata da Paolo Szot.
In conclusione, tanto per riprendere il discorso iniziale, in Italia, dove a volte pensiamo di saper fare meglio degli altri, tutta la musica degli anni’60-’70 vista in televisione o ascoltata alla radio è il frutto della lezione derivata dal Musical e di quei signori (e non solo) citati sopra. Ricordiamoci i grandi Varietà come Studio Uno, Canzonissima, Teatro 10, Milleluci etc. e ricordiamoci anche che quelli erano gli anni dei bravissimi professori d’orchestra della Rai diretti da musicisti eccellenti, ad esempio, come Gianni Ferrio autore anche per Mina o il celeberrimo Pino Calvi. Una scuola che ancora oggi lascia il segno.
Se poi il Musical non è adatto per il Festival dei 2Mondi, francamente la cosa ci sfugge, e non ci dispiace neanche un po’. Preferiamo infatti l’oblio sulle ordalie post evento, mentre ci godiamo l’assenza del pentimento, perchè sapevamo bene cosa andavamo ad ascoltare ieri al Concerto Finale in Piazza Duomo.
Peccato solo che non siano passate le rondini verso le 20. Questa si, una tradizione mancata.
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(Foto e Video: Leonardo Perini e Sara Cipriani per Tuttoggi.info)