Sette giorni per decidere quanto e come durerà questa tribolata consiliatura regionale segnata dall’inchiesta sulla Sanitopoli perugina. E’ stata infatti convocata per sabato 18 maggio la sessione ordinaria dell’Assemblea regionale che ha come punto numero 3 dell’ordine del giorno “l’invito alla presidente della Giunta regionale a recedere dalle dimissioni, presentate ai sensi dell’art. 64 comma 3 dello Statuto regionale”.
Una settimana per conoscere, forse, l’epilogo. Forse, perché in caso di dimissioni respinte da parte della maggioranza assoluta dell’Assemblea (servono quindi 11 voti) il boccino passerebbe poi di nuovo in mano a Catiuscia Marini, che avrebbe 15 giorni di tempo per decidere definitivamente se lasciare o restare al suo posto di presidente. Nel suo intervento in Aula Catiuscia Marini (il discorso integrale) ha ribadito che le dimissioni sono state motivate da ragioni “politiche” e non “personali“. Mandando diversi segnali al suo partito, il Pd. “Il mio atto (le dimissioni ndr) – ha detto nella nota letta in Aula – permette all’assemblea legislativa di esercitare pienamente il proprio diritto, in totale autonomia, e che io pienamente rispetterò, di decidere quale percorso politico-istituzionale intraprendere anche per gli aspetti che la vicenda giudiziaria ha sollevato. Ritengo che l’Assemblea legislativa sia l’unica sede non solo ‘legittima’ ma anche ‘opportuna’ per entrare nel merito delle dimissioni del presidente della regione, Assemblea che ha il diritto di discutere in autonomia senza alcuna ingerenza e condizionamento estraneo alla sua funzione democratica“. Parole da cui non trapela nulla circa la volontà di confermare le proprie dimissioni qualora l’Aula le respinga. Anzi, quella volontà del Consiglio che Marini vorrà rispettare “pienamente” portano alcuni a ritenere che potrebbe anche proseguire la sua esperienza di governatrice in caso di schiarita nel partito, che sul caso si è ritrovato ancora una volta lacerato, a Perugia e a Roma.
Certo, servirebbe una presa di posizione chiara da parte del partito. Anche di quello nazionale, anche alla luce del caso Oliverio in Calabria. Seguire la linea del gruppo consiliare, che comunque non è univoca, equivarrebbe al momento ad una sfida al partito nazionale. Che porterebbe Marini sulla sponda renziana, terreno dove in queste ore si ondeggia tra una controffensiva per provare a riprendersi il partito e la tentazione di crearne uno nuovo. Del resto, al momento le voci che si sono alzate a sostegno di Catiuscia Marini arrivano soprattutto da lì.
Da Zingaretti, invece, non arrivano segnali distensivi. Il segretario ha snobbato l’iniziativa del capogruppo umbro Chiacchieroni. Ad incontrare la delegazione del gruppo dem dell’Umbria, presumibilmente martedì, manderà il suo vice, Orlando. Incontro al quale ha preteso che sedesse anche il commissario umbro del partito, Walter Verini, il cui ruolo non viene riconosciuto dagli irriducibili del gruppo dem (con Chiacchieroni anche Smacchi e Casciari). E che è stato anche bacchettato dalla stessa Catiuscia Marini nel suo discorso, quando ha detto: “Io diffido sempre di quelli che ‘vengono da Roma’ a dirci cosa dobbiamo fare ed ancor di più diffido di ‘quelli che andati a Roma’ tornano con la supponenza di aver visto la città ed i suoi ‘poteri’ e vorrebbero spiegare le cose del mondo a noi della provincia“. Questa volta il percorso è inverso: si va “a Roma” per spiegare quello che serve “qui in provincia“.
Strada tortuosa, comunque. Perché qualora da Roma valutassero ancora che arrivare al voto del 26 maggio con il “caso Umbria” ancora aperto (o comunque non chiuso come si vorrebbe), sabato in Aula i consiglieri dem sarebbero costretti, singolarmente, ad una scelta: provare ad andare avanti, affidando il proprio possibile futuro politico ad una disfatta del Pd targato Zingaretti o mollare un gruppo al capolinea e confidare così di tornare a giocarsi un posto in Consiglio nelle elezioni d’autunno. Per alcuni la scelta è obbligata. Altri questa opzione, invece, ce l’hanno. E non è un caso che i più dubbiosi siano Giacomo Leonelli e Fabio Paparelli. Il primo, già nella precedente seduta, aveva avvertito che senza “un cappello politico” univoco del partito non avrebbe votato la richiesta di ritirare le dimissioni di Catiuscia Marini. E nei giorni scorsi ha provato anche a chiudere con un documento che, pur valutando positivamente l’operato della Giunta, accogliesse le dimissioni. Ipotesi che però è stata respinta dagli irriducibili. Paparelli e Leonelli, due renziani delusi che optano per la linea Zingaretti di fronte ad una Catiuscia Marini che renziana non è mai stata, ma che sta trovando nell’ex segretario uno dei suoi pochi sostenitori in questa fase. Così soffiano, in questa pazza primavera meteo, le correnti d’aria nel Pd umbro. E poi c’è la legge sui vitalizi, da approvare entro maggio. Quella che interessa soprattutto i consiglieri che sanno che quasi sicuramente, anche in caso di ricandidatura, non saranno rieletti. In questo pazzo clima di primavera, numeri alla mano, basta l’astensione di un consigliere per far saltare il banco.