Il giudizio di ottemperanza che gli Istituti Riuniti di Beneficenza, proprietari dell’Hotel Subasio, con il Comune ad adiuvandum hanno presentato al Tar di Reggio Calabria per richiedere dalla Hotel Subasio Srl di restituire la struttura hotel Subasio è inammissibile.
E lo è perché il giudizio di ottemperanza “permette alla parte risultata vittoriosa di dare esecuzione ad una sentenza nel processo amministrativo, qualora la pubblica amministrazione non abbia adempiuto spontaneamente“.
Sentenza che però, nel caso della richiesta degli Ii.Rr.Bb. e del Comune, non esiste, visto che non solo quella del Tar di Reggio Calabria citata (la 664/2016) si ‘limita’ a confermare l’interdittiva antimafia del 2015, ma che addirittura le due parti hanno un altro contenzioso aperto, e sempre di fronte al Tar calabrese, per farsi ridare la struttura.
Insomma, se è vero che il provvedimento di interdittiva antimafia emesso dal Prefetto contro la società affittuaria dell’Hotel Subasio fu confermato anche dal Tar, non è solo in virtù dell’interdittiva (in base alla quale la casa di riposo Andrea Rossi ha richiesto indietro l’Hotel Subasio, visto che la presenza del certificato antimafia era uno dei requisiti richiesti nel bando per ottenere un contratto trentennale sulla struttura) che la Hotel Subasio Srl deve restituire lo storico hotel alla città. O quantomeno, se deve farlo, il giudizio di ottemperanza richiesto dai ricorrenti non è lo strumento giusto per ottenerlo, visto che una sentenza da ottemperare non c’è (ancora).
In una sentenza di sei pagine emessa a cavallo tra la Pasqua e il 25 aprile, i giudici fanno riferimento alla prima parte di questa lunga controversia giudiziaria, terminata nel 2016. All’epoca il Tar dell’Umbria aveva bocciato il ricorso intentato dalla società che aveva vinto il bando di affitto (trentennale) che si era vista revocare, dal Comune, le licenze di albergo e ristorante, di fatto portando alla chiusura dell’attività.
La decisione, tra i primi atti della giunta guidata da Stefania Proietti, era dovuta all’interdittiva antimafia (risalente al 2015) emessa dal Prefetto di Reggio Calabria.
Proprio a causa di quella interdittiva (successivamente confermata dal Tar calabrese dopo che i destinatari del provvedimento avevano fatto ricorso) l’Andrea Rossi aveva chiesto indietro l’Hotel Subasio, ma la società aveva contrattaccato. E così, nell’agosto 2016 il Tar dell’Umbria aveva accolto la richiesta di sospensiva del provvedimento di revoca. Ma pochi mesi dopo c’era stato un nuovo ricorso, stavolta del Comune, che aveva vinto. Ossia, vedendo confermata la revoca delle licenze a causa dell’interdittiva.
A questo punto la battaglia legale si era spostata di fronte al Tar Calabrese. Alla Hotel Subasio Srl è stato chiesto di “ottemperare alla sentenza definitiva del Tar calabrese (664/2016) e per ottenere in particolare il rilascio dell’hotel in seguito al provvedimento di interdittiva antimafia del 18 giugno 2015”. Ma quella sentenza citata da Comune e Andrea Rossi non dice che l’Hotel Subasio deve tornare ai proprietari, si limita a rigettare il ricorso contro l’interdittiva.
Da qui l’inammissibilità sentenziata a fine aprile 2019 nella sentenza del Tar, appunto perché “il provvedimento interdittivo che colpì la società affittuaria del Subasio fu ritenuto esente dai vizi dedotti“, ossia l’interdittiva fu confermata, ma “la fonte dell’evidente obbligo (che grava oggi sulla Hotel Subasio Srl), di restituire il compendio immobiliare ed aziendale in discorso all’odierna ricorrente, resta il provvedimento prefettizio e la connessa determinazione di risoluzione del contratto, non la sentenza del giudice amministrativo che ha respinto il ricorso“. Insomma, il fatto che l’interdittiva sia stata confermata non significa che esista una sentenza da eseguire (come richiesto dal giudizio di ottemperanza chiesto dalla casa di riposo, proprietaria dell’Hotel Subasio, e sostenuto dal Comune), ergo “il ricorso va dichiarato inammissibile“.
In considerazione delle particolarità della controversia “sussistono giuste ragioni per compensare le spese del giudizio“. Ma non solo: i giudici calabresi hanno disposto “la trasmissione degli atti alla Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per l’Umbria della Corte dei Conti, per la verifica dei profili di danno erariale connessi alla dedotta situazione di incuria in cui si troverebbe il complesso aziendale di proprietà pubblica e per quanto altro di eventuale competenza“.