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HANKE (PDL) SU MORTE OSAMA BIN LADEN, “UN ERRORE USA”

di Maurizio Hanke (*)

Ci sono sufficienti motivi per ritenere che l'uccisione di Osama Bin Laden costituisca un grave errore politico e strategico nella lotta al terrorismo e che di essa gli Stati Uniti e complessivamente l’Occidente non si avvantaggeranno né nell’immediato futuro, né, tantomeno, in una prospettiva più lunga.
Esaminiamo le conseguenze del breve periodo.
E’ stato detto, giustamente che questo è stato il secondo omicidio di Bin Laden. Il primo è avvenuto come conseguenza delle rivoluzioni dei Paesi del nord-Africa che, sotto il segno di una motivazione che di certo non era islamista e tantomeno jihadista, ha posto in essere le basi di un grande movimento liberale e democratico di quei Paesi.
Che cosa di peggio poteva aspettarsi Bin Laden? La sua è sempre stata una battaglia anti-liberale, anti-occidentale, antidemocratica e pertanto la vittoria, in quei Paesi, di una sommossa popolare che era nata sotto il segno della libertà e della democrazia, era la sconfessione più palese e clamorosa dei suoi principi e delle sue ambizioni politiche.
Gli Stati Uniti hanno dato l’impressione, nei mesi scorsi, di non aver sùbito colto il segno e il significato delle sommosse popolari del Magreb e hanno tenuto dietro all’evolversi dei fatti, particolarmente in Egitto, con una grande ed eccessiva cautela.
Per altro agli osservatori magrebini, ed anche ai più accorti osservatori occidentali, non era sfuggito il senso del tutto inedito delle manifestazioni di piazza de Il Cairo e la novità sostanziale di quel movimento di massa, il primo veramente nato dal basso, senza l’influenza di nazioni straniere e senza il sostegno di altre forze politico-ideologiche che non fossero nate sostenute e incoraggiate da tutto il popolo insorto contro il vecchio regime. Il fatto nuovo era la costituzione endogena e spontanea d un movimento rivoluzionario che è stato il primo, dopo la Rivoluzione francese, a imporsi al di fuori degli interessi e degli schemi internazionali in un’area fortemente pervasa dalle ripercussioni del conflitto israelo-palestinese e dalle tensioni medio-orientali innescate da quel conflitto.
Bin Laden avrà sicuramente osservato questa stravolgente novità rivoluzionaria con un sentimento di grande disapprovazione e avrà seguito l’evolversi dei fatti registrandoli come la più clamorosa sconfitta del suo dsegno politico e militare a capo del movimento dell’estremismo islamista.
Perché dunque ucciderlo di nuovo?
La vendetta statunitense – ammesso che di questo possa parlarsi per giustificare il blitz nella sua residenza pakistana – era già stata portata a termine dalla storia e, forse, Bin Laden avrebbe avuto, rimanendo in vita, più elementi di amarezza e di delusione per l’evolversi dei fatti che ulteriori improbabili incoraggiamenti nel proseguire nell’azione terroristica e nella lotta armata.
Siamo in procinto di vedere crollare sotto i colpi della rivoluzione liberale dell’Africa settentrionale e orientale anche Paesi come la Siria e addirittura l’Iran che avevano costituito una riserva ideologio-politico-militare per i Jihadisti e invece la sortita americana ha ridato fiato e speranze alle forze dell’oscurantismo e del radicalismo islamista offrendo loro una insperata motivazione a proseguire nell’attacco alla civiltà occidentale e ai principi dei liberalismo politico su cui essa si regge.
Dobbiamo quindi ritenere che il motivo che ha spinto gli Stati Uniti a comandare la esecuzione di Bin Laden sia stato, veramente, il calo di popolarità del Presidente Barack Obama? Dobbiamo ritenere che elementi di così bassa e inconsistente valutazione politica e strategica, abbiano mosso la prima potenza mondiale a premere il grilletto sulla testa di un uomo disarmato di fronte alle donne, mogli e figlie, che condividevano con lui l’esilio e la clandestinità?
Dovremo assistere, nei prossimi mesi, alla riproposizione dei media americani di mezze immagini o immagini contraffate dell’illustre morto, sfigurato e inseguinato, che sicuramente ridaranno forza alle frange più fanatiche del terrorismo internazionale.
Il terrorismo aveva avuto in questi ultimi mesi un azione calmieratrice proprio nei fatti dei nord-Africa e si profilava uno scontro inedito, tra le popolazioni nordafricane, ormai avviate sulla strada della conquista della libertà e della realizzazione di un sistema di società aperta regolata dai principi liberaldemocratici, e le residue sparute falangi del terrorismo religioso che non poteva accettare un nuovo ordine politico in forte, stridente contrasto coi principi della società chiusa e diretta dall’integralismo religioso.
La azione politica complessivamente intrapresa dagli Stati Uniti è andata quindi nella direzione esattamente opposta a questo flusso di eventi e, io direi, al corso della storia su cui quegli eventi si erano ultimamente indirizzati. Essa ha inizialmente frenato il profondo rinnovamento nei rapporti politici nel bacino del Mediterraneo ed ora, con il portare a termine a ogni costo la vendetta verso Bin Laden, ostacolerà gli sviluppi che quel corso aveva reso possibili. Saranno perciò ostacolate le conseguenze assolutamente inedite nel tipo di alleanze e di collaborazioni che i Paesi europei che si affacciano su tale bacino, come Italia, Francia e Spagna, avrebbero potuto instaurare con le emergenti democrazie africane. Su questo si poteva anche compiere una serie di interessanti esperimenti per frenare le migrazioni e gli esodi da quei Paesi verso l’Europa.
Mi spiace dirlo ma l’intelligence americana – così definiamo l’insieme dei centri di analisi e di valutazione strategica e militare che guida la politica estera di un Paese – ha clamorosamente fallito.
E oltre a ciò dobbiamo ulteriormente dolerci del carente coordinamento nella iniziativa politica europea che, in questa occasione, avrebbe dovuto guidare e padroneggiare la evoluzione degli eventi sopra indicati e non seguirli con iniziative contraddittorie.

(*) Consigliere comunale Pdl-Spoleto

Testo pubblicato sul Blog dell'ISPI (Istituto di Studi di Politica Internazionale) presieduto dall'Ambasciatore Boris Biancheri