Si torna a parlare, a 20 anni dal terremoto del 1997, del borgo di Giove, frazione di Valtopina, finita sulle cronache nazionali a lungo per i suoi cittadini costretti ancora a vivere nei container. A riaccendere i riflettori sulla vicenda, segnata da contenziosi giudiziari, è stato un servizio della trasmissione Le Iene, a cui è seguita un’interrogazione del consigliere regionale dell’Umbria Marco Squarta (Fratelli d’Italia).
Nello specifico Squarta ha chiesto alla Giunta regionale di sapere “quali sono gli esiti dei controlli effettuati e se i cittadini di Giove di Valtopina dovranno davvero pagare le cifre richieste dalla precedente Amministrazione comunale per poter rientrare nelle proprie abitazioni a 20 anni di distanza dal sisma che le ha distrutte”.
Nell’illustrazione dell’atto, Squarta ha fatto riferimento alla trasmissione ‘Le Iene’ e quindi ai “2,5milioni di euro che sarebbero stati richiesti dal Comune ai residenti per poter rientrare nelle abitazioni ricostruite. Non risulta confortante e non chiarisce i contorni della vicenda – ha detto Squarta – neppure la dichiarazione del nuovo sindaco, secondo cui ‘i cittadini non pagheranno cifre che non devono pagare’. Gli abitanti di Giove vivono ancora nei container dopo 20 anni dal sisma. E nel 2011, dopo il sequestro dell’intero borgo da parte della Guardia di finanza, la Giunta regionale dichiarò pubblicamente che la Regione avrebbe ‘seguito con attenzione le vicende di Giove e si sarebbe attivata per verificare se la progettazione degli interventi di ricostruzione aveva seguito l’iter previsto dalla legge’”.
L’assessore Antonio Bartolini ha risposto spiegando che “il Comune di Valtopina ha riconsegnato quest’anno l’immobile ai nove residenti. La vicenda è legata alle ‘Unità minime di intervento’, ai consorzi di ricostruzione e al potere sostitutivo, esercitato dal Comune e finanziato con fondi di rotazione regionali. I proprietari sapevano fin dall’inizio che al termine dei lavori si sarebbero dovuti accollare le spese di ricostruzione per 1,2 milioni. A fine lavori ci si rende conto che l’intervento viene realizzato in difformità, con tutta una serie di questioni che nascono nei confronti dei progettisti, del direttore lavori, ci sono stati problemi penali e c’è una causa civile in corso per errore progettuale. Questo ha comportato una riprogettazione dell’intervento, un adeguamento per portare l’intervento in conformità che ha comportato maggiori spese. I privati non hanno mai contestato l’accollo di 1,2 milioni di euro. Resta la questione della responsabilità per l’errore progettuale. Esistono problematiche giuridiche che non possono portare ad una automatica attribuzione di responsabilità ai proprietari. Ho chiesto un approfondimento legale agli uffici e seguirò personalmente la questione, molto complessa e problematica”.
Squarta ha replicato valutando “una follia che i cittadini debbano tirare fuori somme così rilevanti per tornare nelle proprie case”.