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Giornata per la vita 2, grande partecipazione al concerto della Banda del Corpo della Gendarmeria della Città del Vaticano

«Sono davvero lieto di essere a Spoleto, città suggestiva, Diocesi di antichissime tradizioni». Con queste parole Dino Boffo, direttore di TV 2000, ha avviato, sabato 2 febbraio all’auditorium della Scuola di Polizia di Spoleto, “Racconta la vita”, il primo momento che la Pastorale familiare della Diocesi ha organizzato in occasione della Giornata per la Vita. «La festa della vita che si organizza a Spoleto – ha proseguito il giornalista che ha condotto la serata – è pensata in modo intelligente, è un invito a riflettere sull’apertura alla vita, che va accolta e custodita con cura dall’inizio alla fine. Non è una festa bigotta, ma attraverso le testimonianze, cioè il raccontare episodi concreti, si celebra la vita come dono che riassume tutti gli altri e senza il quale non si apprezzerebbe nulla».

Sul grande palco dell’auditorium della Scuola di Polizia, che per l’occasione si è riempito, hanno trovato posto oltre settanta elementi della Banda del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, che ha accompagnato, con le note di Verdi, Strauss, Gounod e altri, alcune testimonianze sulla vita. La città di Spoleto era rappresentata dall’assessore Battistina Vargiu. Prima dei testimoni, però, ci sono stati i saluti dell’arcivescovo Renato Boccardo e del primario del reparto di Ginecologia ed Ostetricia dell’ospedale di Spoleto, dott. Fabrizio Damiani. Il Presule ha ricordato che vale la pena raccontare la vita, in quanto è qualcosa che scalda il cuore. «Vorrei ringraziare – ha detto – quanti dicono sì alla vita: penso ai genitori che la accolgono, ai nonni che sono i custodi della memoria, ai medici e a tutti gli operatori sanitari, a tutte quelle persone che nelle loro case accudiscono con delicatezza e nel nascondimento anziani e malati. Siamo qui per dire che nonostante tutto vale la pensa credere nella vita». Il dott. Damiani ha ricordato come il 2012 sia stato per il reparto da lui diretto un anno difficile. «Comunque – ha detto – superato le 500 nascite (510 in totale, ndr)». Il che significa punto nascita salvo. «Vorrei ringraziare – ha proseguito – lo sforzo poderoso di tutti i miei collaboratori che si sono impegnati con me nel ridare credibilità al reparto. Grazie anche alle istituzioni, Azienda Sanitaria, Comune e Curia Arcivescovile in primis, per la vicinanza e il sostegno. Vorrei – ha proseguito il primario – che il terzo piano del S. Matteo degli Infermi (dove è ubicato il reparto di Ginecologia ed Ostetricia, ndr) diventasse sempre più un luogo degli spoletini, una “piazza” della città che si affaccia su una splendida chiesa (la Madonna di Loreto, ndr). Posso inoltre garantire – ha concluso Damiani – che continueremo a dare il meglio di noi stessi per consentire alle partorienti un clima familiare e sereno».
La prima testimonianza è stata quella dei coniugi spoletini Emanuela e Francesco Succhielli, genitori di Margherita e Leonardo (quest’ultimo è il primo nato in Umbria nel 2013, ndr). «Dopo il matrimonio, ci siamo detti che per “essere famiglia” dovevamo avere dei bambini da crescere. Nel frattempo però la vita ci ha catapultati in un grande dolore, quello di aver scoperto una malattia rara ed incurabile di Adamo, il papà di Emanuela, durata due anni. L'amore che ci lega ha comunque permesso di non perdere di vista i nostri sogni che nel 2011 si sono realizzati con l'arrivo della piccola Margherita. Il tempo ci regalava da una parte i progressi straordinari della crescita di un figlio, dall'altra vivevamo la sofferenza profonda e silenziosa per il progredire della malattia che impediva la partecipazione di un nonno speciale a tutto questo. Nostra figlia è stata l'unica cura per questa malattia. La tristezza per la perdita di un padre e di un nonno (Adamo è morto nel dicembre 2011, ndr) è stata alleggerita dalla gioia per l'arrivo di Leonardo. La vita ci ha ripagato, ancora una volta, regalandoci un'altra vita e un nuovo impegno».
Poi è stata la volta dei coniugi Anna e Giuseppe Testaverde, conosciutisi cinquanta anni fa a Monteleone di Spoleto e, dopo sette anni di fidanzamento, si sono sposati. «Nel nostro cuore – hanno detto – avevamo un sogno: avere due o tre figli. La vita però non è andata secondo i nostri progetti. I figli desiderati e cercati non arrivavano nonostante dalle visite mediche risultasse tutto normale. È iniziato un periodo in cui ci siamo trovati divisi, ma continuavamo a ripetere che dovevamo trovare un senso al nostro non avere figli e comprendere la volontà di Dio di noi». Col tempo si sono avvicinati, grazie ad un sacerdote salesiano, alla figura di S. Giovanni Bosco, hanno iniziato a meditare la Parola di Dio, hanno scoperto la tenerezza di Dio, il suo perdono e la sua comprensione ha migliorato il loro rapporto di coppia. Hanno iniziato un servizio nel carcere di Perugia, ascoltando i detenuti, accogliendoli così come erano, amandoli, aiutandoli a ricucire i rapporti con i familiari. Poi, sono iniziati i percorsi con i fidanzati che si preparavano al matrimonio cristiano. «Rileggendo la nostra vita – hanno concluso – ringraziamo il Signore per tutti i dono che ci ha elargito e per tutte le persone che ha messo nel nostro cammino. Lo ringraziamo perché abbiamo compreso che i figli sono sui e ce li può affidare ponendoceli nel grembo o mettendoli al nostro fianco quando sono bambini, adolescenti o giovani adulti. Lo ringraziamo perché non abbiamo due o tre figli come era nei nostri progetti, ma, anche se in casa siamo due, abbiamo una famiglia numerosa: di fatto si considerano nostri figli e noi li sentiamo tali tutti coloro ai quali abbiamo donato il nostro tempo, aperto il nostro cuore».
La terza testimonianza è stata quella di Anna Hakulinen, medico spoletino, sposata, tre figli, l’ultimo down: condizione questa accettata, all’inizio, con molta sofferenza. «Quando le prime figlie avevano 3 e 5 anni – ha detto – si è presentata una nuova gravidanza. Non volevo un altro figlio per motivi di salute seri e gravi. Per qualche mese ho pensato all’aborto. Ma non ho avuto il coraggio a togliere di mezzo questa creatura che mandava all’aria la mia routine e l’organizzazione familiare. E così gli abbiamo dato il benvenuto tra di noi. Durante la gravidanza si sono rivelati problemi per la salute di mio figlio. Fabrizio è nato a Roma nel 1989; è stato operato il giorno stesso della nascita al torace e all’addome. Era anche affetto dalla sindrome di down, più comunemente nota come mongolismo. Ero disperata. Siamo rimasti in ospedale un anno. Fabrizio stava malissimo. Mi faceva pena, lo vedevo soffrire e pregavo il Signore che lo prendesse a sé. Un giorno – ha proseguito Anna – dissi a Dio: “ok, tu non vuoi aiutarlo, non lo vuoi neanche nel tuo Paradiso e mi rivolsi a Fabrizio dicendogli: non ti preoccupare penso io a te, sono la tua mamma”. Che coraggio, avevo sfidato Dio! I giorni passavano. Quando le sue condizioni erano migliori, il papà accompagnava le altre nostre figlie in ospedale per farle giocare col fratellino. Mi faceva tenerezza e ad un certo punto scoprii che stargli vicino mi dava gioia. Pensavo anche di essere impazzita: come era possibile che stessi bene in sua compagnia? Era un amore di bimbo. E, finalmente, un giorno siamo tornati a casa. Eravamo di nuovo insieme: io, mio marito e i nostri tre figli. I primi sette anni sono stati un calvario: Fabrizio stava male 24 ore su 24. Ci siamo organizzati ad assisterlo una notte per una. Avevamo allestito un piccolo ospedale casalingo. Ora Fabrizio ha 24 anni, da sei-sette è in buona salute ed è giocoso, amoroso, estroverso e pieno di humor. Penso che non abbia la vita facile, ma lui vive. Continuo a parlare con Dio – ha concluso Anna – e gli dico grazie: “ho capito che mi hai donato Fabrizio perché, razionale come sono, non riuscivo a sentire il tuo amore ed ecco questo angelo che mi abbraccia in nome tuo”».
La quarta testimonianza è stata quella del dott. Maurizio Fuschi, Neuroradiologo Interventista alla Asl di Teramo. Ha testimoniato come si riesce a “ridare” una vita ai malati di ictus, intervenendo tempestivamente nella parte lesa del cervello, liberando con una sonda la vena occlusa. «Nel nostro reparto diciamo alle persone: riparti, vai. Noi siamo solo gli strumenti di un progetto più grande: per chi crede il progetto di Dio sull’uomo».
L’ultima testimonianza è stata quella del prof. Renato Buzzonetti, medico personale di papa Giovanni Paolo II. Ha raccontato come il Papa polacco mai si arrese alla malattia. «Ho fatto – ha raccontato – 997 visite al Papa, che avvenivano sempre dopo cena. Lo trovavo a letto, assorto nella lettura. Non amava le visite, ma era obbediente. E lo è stato fino all’ultimo, quando accettò il mio consiglio di eseguire la tracheotomia».
La serata si è conclusa con l’inno dello Stato della Città del Vaticano e quello dello Stato Italiano eseguiti dalla Banda della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.