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Gigi Proietti, il “Mandrake” che fa ridere l’Italia compie 80 anni

Alzi la mano chi una volta nella vita non abbia riso fino alle lacrime nell’ascoltare la barzelletta “der cavaliere nero e der cavaliere bianco”; lo faccia allo stesso modo chi abbia tentato (senza fallire) di ripetere la battuta del whisky maschio senza rischio da Febbre da cavallo; e ci provi pure chi abbia (anche timidamente) abbozzato l’urlo liberatorio di Rocky tumefatto in volto che a squarciagola chiama la sua Adriana. Questi tre elementi raccontano (assieme a tanti altri) dell’arte di Gigi Proietti: attore capace di fare venire giù un teatro con una semplice barzelletta, interprete del grande schermo dai tempi perfetti, e pure doppiatore in pellicole hollywoodiane. La bio di Proietti Luigi (in arte Gigi), nato a Roma il 2 novembre del 1940 (80 anni domani) è lunghissima. Oltretutto l’elenco delle sue “declinazioni artistiche” non è per nulla conciso: attore, cabarettista, comico, doppiatore, regista, insegnante di recitazione, conduttore televisivo, talent scout.
Istrionico, brillante, un portento sul palcoscenico, capace di riuscire a portare ad un suo spettacolo, come con “A me gli occhi”, in tour nei teatri di mezza Italia, centinaia di migliaia di spettatori. Il bilancio della carriera dell’artista, alla vigilia dei suoi 80 anni, può dirsi più che prospero, frutto di anni di grande impegno e sacrifici. Giovanissimo divide le sue giornate tra la facoltà di Giurisprudenza (che abbandona a soli sei esami dalla laurea), le lezioni di teatro e gli spettacoli nei night per raccattare qualche spicciolo. I primi ruoli che interpreta, che sia teatro, tv o cinema sono marginali: una lunga serie di comparsate che comunque lo aiuteranno a farsi notare. L’anno della svolta arriva nel 1970, quando viene chiamato a sostituire niente di meno che Domenico Modugno, ritiratosi (pare per dissapori con gli autori) dalla produzione del musical “Alleluja brava gente” di Garinei e Giovannini. Una “botta di fortuna” come avrà modo di dire in seguito, che rappresenterà il suo trampolino di lancio. Fu quello anche l’anno in cui Monicelli lo chiama per “Brancaleone alle crociate” ad interpretare Pattume, reietto colpevole di un peccato tanto ripugnante che non può essere rivelato ad orecchie umane.
Della sua spiccata romanità ne trarrà beneficio al momento in cui interpreterà un ruolo che sembra disegnato su sua misura: “Meo Patacca” di Ciorciolini. Ma la vera consacrazione arriva qualche anno più tardi, quando Steno gli affida il ruolo di Mandrake in “Febbre da cavallo”. All’inizio il film non sembrò sfondare, poi con il tempo, sostenuto da generosi passaggi televisivi, è diventato un cult movie. Saranno anni quelli in cui non si limiterà a ruoli esclusivamente comici, ma azzarderà incursioni in campi differenti: dalla commedia al dramma con qualche capatina nel dramma erotico. Passaggi disinvolti di un uomo d’arte dalla solida cultura e dalla tecnica perfetta. Dalla metà degli anni ’70 ad oggi saranno molte le pellicole che ne accresceranno la fama, con deliziosi ruoli come in “Casotto” di Citti, “Mi faccia causa” dove ritroverà Steno, o il remake di “Febbre da cavallo”, stavolta diretto da Carlo Vanzina. Sempre di Vanzina è da ricordare un’altra commedia, “Un’estate al mare”, dove l’episodio finale in cui Proietti è un attore mezzo sordo impegnato a mettere in scena La signora delle camelie, si rivelerà così spassoso da riscattare l’intera pellicola nel complesso un po’ deboluccia. Intanto Proietti, nella sua lunga e fruttuosa carriera non ha mai disdegnato le continue “scorrerie” in teatro o nel doppiaggio.
Proprio da doppiatore ha prestato la voce a Robert De Niro, Dustin Hoffman, Charlton Heaston, Kirk Douglas, Paul Newman, Marlon Brando, Gregory Peck. Ma forse sono tre i personaggi che gli daranno più fama: Gatto Silvestro, il Genio in Aladdin e il Sylvester Stallone del primo Rocky. E poi c’è la tv. Nel piccolo schermo Proietti ci ha sguazzato. Sia da attore di fiction che da presentatore di show, la sua presenza è stata sempre sinonimo di successo. Accrescerò fama e popolarità vestendo la divisa del “Maresciallo Rocca”, una serie che macinerà ascolti da record. Come dimenticare poi la sua interpretazione di San Filippo Neri in “Preferisco il paradiso”. Ma è anche da conduttore che ha dimostrato la sua bravura: “Cavalli di battaglia”, il suo one man show del 2017 targato Rai lo ha consacrato dinanzi il pubblico del sabato sera. Da uomo generoso ha voluto però dedicare parte della sua carriera ad insegnare la nobile arte della recitazione. Già dalla fine degli anni ’70 assumerà la direzione del Teatro Brancaccio di Roma, creando all’interno un laboratorio teatrale che ha consentito di formare intere generazioni.
A lui si deve la formazione di una lunga sfilza di attori, comici, presentatori che ancora oggi riempiono i teatri e i palinsesti televisivi. Un uomo che ha dedicato anima e corpo al saper fare ridere, qualità da non sminuire. “La comicità – dirà più volte – è una questione complessa, non basta mettere in scena una cosetta simpatica per guadagnarsi gli applausi”. Attore esigente quindi, un grande mattatore, che ha fatto ridere gli italiani. E che continuerà a farlo, consapevole di quel dono ricevuto, di quello che lui stesso non ha nascosto di definire un privilegio. “Il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tute le sere”.
(ITALPRESS)