Da capitano ha portato il Sassuolo dalla C2 all’Europa. Una storia d’amore che dura ormai da 16 anni, con oltre 500 presenze sempre fedele ai colori “nero-verdi”. Lui è Francesco Magnanelli, l’ultima vera bandiera rimasta nel calcio italiano dopo i recenti addii di Del Piero, De Rossi, Totti e Pellissier.
Nato ad Umbertide nel 1984 e vissuto a Città di Castello – più precisamente nella frazione Badiali – fino a 16 anni (quando ha fatto il suo esordio nelle giovanili del Gubbio), oggi Francesco Magnanelli è il simbolo e l’eroe di Sassuolo, dov’è approdato nel lontano 2005 senza mai più andarsene.
Una favola moderna che ancora resiste e che lui stesso ammette: “Non pensavo minimamente potesse durare così a lungo e che avrei raggiunto questi traguardi. Siamo partiti da molto lontano: il Sassuolo era una società quasi dilettantistica e io ero ai primi passi da professionista. Avevo 20 anni e sono arrivato in un periodo dove onestamente non sapevo se potevo vivere di calcio, perché reduce da un paio di delusioni anni prima e quindi si trattava di rimettermi in gioco a tutti gli effetti. Non è stato un percorso sempre facile ma con molti alti e bassi. Però se guardo alla fine della mia carriera credo sia stata una bellissima pagina di sport e per questo, ovviamente, devo ringraziare il Sassuolo Calcio, la famiglia Squinzi, la Mapei e la proprietà. Credo che senza di loro non avrei mai fatto questo tipo di percorso”.
Per Francesco si tratta di una “una vera e propria famiglia. Come spesso dico quello che mi ha tenuto qua a Sassuolo è stata comunque la voglia e l’ambizione di fare sempre qualcosa in più e di diverso rispetto agli altri. Mi sono lasciato probabilmente qualche altra occasione in giro, la possibilità di andare a giocare in piazze forse ‘più importanti’, con più storia e tifosi. Però Sassuolo la sentivo mia e col senno di poi credo di aver creato quel qualcosa di diverso insieme a questa società. Alla fine ci siamo riusciti e ne vado orgoglioso”.
Un legame così forte con Sassuolo che, nel 2016, è stato sancito addirittura dalla consegna delle chiavi della città, un riconoscimento affettivo importante che ha riconosciuto al tifernate la piena fiducia nell’uomo e nel calciatore da parte di tutti. “L’ennesima dimostrazione di quanto mi vogliono bene – ha aggiunto – Questa città mi ha accolto che ero un ‘bambino’, dove ho dato alla luce i miei figli, dove vivo tuttora e dove probabilmente vivrò in futuro. Io penso di avere dato molto a Sassuolo ma di aver ricevuto sicuramente altrettanto”.
Francesco però ci tiene a ricordare che non sarebbe l’uomo che è oggi senza gli insegnamenti e gli anni passati in Altotevere, “una bellissima parte della mia vita”. A Città di Castello, dove ha tutti i suoi familiari e amici, il centrocampista del Sassuolo torna spesso perché “il legame a casa è sempre fortissimo. Devo tutto a quella parte di Umbria, dove sono le mie radici. Ovviamente la vita ti porta un po’ lontano e a fare delle scelte ma credo che poi l’affetto vada veramente oltre le distanze”.
“A Città di Castello ho avuto la fortuna di crescere calcisticamente in un’altra grande famiglia, quella della Tiferno ’90, con cui ho ancora un grandissimo legame con tutta la squadra dell’epoca e l’allenatore di allora Dante Selvi, il mio primo maestro. Tra di noi abbiamo anche una chat su WhatsApp chiamata ‘L’università del calcio’, dove ancora scherziamo e ricordiamo quegli anni in cui ne abbiamo davvero combinate tante. Devo molto a quel periodo, dove sono cresciuto non solo calcisticamente ma anche a livello umano, di comportamento ed educazione. Oltre a quello che mi hanno dato i miei genitori sono molto riconoscente anche a questa società e alle persone di allora”.
Anche quando ripercorre i momenti più belli della sua carriera, Francesco Magnanelli non esita a dare al racconto quel tocco “romantico” e pieno d’amore per il “suo” Sassuolo, scegliendo senza alcun dubbio come apice del suo cammino in nero verde la stagione 2012/2013, quella della vittoria del campionato di Serie B con la conseguente promozione in A. “E’ stata una cavalcata incredibile, con una squadra che non tornerà mai più, per legami, affetto e intensità di vivere le cose”. La bandiera del Sassuolo riporta poi alla mente l’esordio in Europa League “un anno ostico, fin dagli spareggi per entrare nella fase a gironi. Ma allora (era il 2016) stavo al massimo della condizione sia mentale che fisica. Ero proprio ad un livello di maturità e consapevolezza tale, che credo si sia visto il vero Francesco come valore”.
Il 36enne tifernate è sempre stato – come lui stesso ama definirsi – un “gregario” che ama “fare il gioco sporco”, centrocampista incontrista e non certo un bomber. Sono “solo” 10, infatti, i gol segnati finora in nero verde ma – afferma – “per chi ne segna pochi sono sempre tutti molto importanti”.
Ma il più bello di tutti per Francesco resta quello del 2017 contro il Cagliari, in casa, alla penultima di campionato. Anche questo carico di un valore sentimentale molto forte: “E’ stata una rete importante perché 5 mesi prima mi ero rotto il crociato contro la Fiorentina ma, nonostante questo, mi ero già dato l’obiettivo di riprendermi e tornare proprio contro i viola nel girone di ritorno. Per farlo mi sono fatto un mazzo sotto tutti i punti di vista, togliendo tempo anche alla famiglia. Mia moglie è stata super a capire il momento e sostenermi. Con la Fiorentina c’ero ma in panchina. Due partite dopo sono tornato titolare e dopo 5 minuti, sugli sviluppi di un corner e di uno schema che mister Di Francesco aveva fatto apposta per me (il perché non lo so!), sono arrivato in corsa e ho fatto gol. Un momento reso ancora più speciale per la presenza della mia famiglia e i miei bambini allo stadio”.
Il 30 giugno 2021 è la data in cui scade il contratto di Francesco Magnanelli con il Sassuolo ma lo storico ‘numero 4’ non ha la minima intenzione di appendere gli scarpini al chiodo né tantomeno di lasciare la famiglia nero verde. “Ho sempre pensato di smettere nel momento in cui non mi sarei più sentito competitivo ma sono onesto con me stesso: sento di avere ancora tanto da dare sul campo. Vorrei continuare a giocare almeno un altro anno”.
“Quest’ultima stagione è stata difficile per me: sono stato infortunato a lungo nella prima parte di campionato e da gennaio in poi ho fatto solo una decina di partite. Non è facile star fuori, specie per uno che fortunatamente ha sempre giocato tantissimo. Però anche questo è parte di un percorso di maturazione: cercare di accettare determinate cose e capire i momenti. Questo non vuol dire che abbasserò la guardia, neanche di un centimetro. L’obiettivo resta quello di continuare a giocare ancora perché mi sento bene. Poi è ovvio che si pensa anche al dopo: spero e credo che sarà ancora nel mondo del calcio perché vorrei lavorare anche con i giovani calciatori, in quale veste ancora di preciso non lo so. Ho già fatto comunque il corso di allenatore e fra poco avrò l’esame…”.