Davide Baccarini
In una fredda e affollata mattina di mercato, sotto le “Logge Bufalini” di Città di Castello, abbiamo incontrato quello che ormai da tempo è non solo un ragazzo tifernate molto disponibile, simpatico e sempre sorridente, ma ormai un eroe cittadino: Francesco Magnanelli. Nato ad Umbertide nel 1984 e vissuto a Città di Castello, Francesco è partito proprio da qui, a 16 anni, per poi andare a giocare tra i professionisti. Dopo Gubbio, Chievo Verona, Fiorentina e Sangiovannese nel 2005 approda a Sassuolo in C2 e da lì comincia la sua scalata coi nero-verdi verso la massima serie, raggiunta da capitano dopo cinque anni, 263 presenze (di cui 8 in Coppa Italia) e 5 gol. Nonostante questo invidiabile curriculum ci siamo trovati di fronte un ragazzo umile e ben disposto a risponderci, in anteprima all’incontro ufficiale con la stampa che si terrà lunedì 3 giugno nella sala della Giunta del comune di Città di Castello. Con una leggerissima inflessione dialettale tifernate rimastagli a testimoniare le sue origini, Magnanelli ci dà anche il permesso, previa nostra richiesta, di dargli del “tu”.
L’infanzia in Umbria – Quando gli diciamo di raccontarci la sua infanzia e la prima adolescenza nell’Alta Valle del Tevere, ci tiene subito a dire di averle passate entrambe a Badiali, piccola frazione del comune di Città di Castello. “Ho un ricordo ottimo di quei tempi. Sono cresciuto tra “quattro case” ma in mezzo alla strada. Ricordo con piacere soprattutto le partitelle in strada, quando facevamo le porte con gli ingressi dei garage. Spesso stavamo al campo sportivo dalle 14 alle 20!”. Da ragazzino dunque Francesco già viveva di calcio.
L’uomo – Ma che uomo è Francesco? “Sono una persona fedele a determinati valori, abbastanza equilibrata, tranquilla, venuta dalla strada. Ho guadagnato tutto quello che ho; le categorie superiori me le sono sempre prese da solo e nessuno me le ha regalate. Fare un passettino alla volta e conquistarsi tutto da soli è la cosa più bella”.
Qual è il tuo peggior difetto?
A volte vorrei essere più cinico, farmi meno problemi, dire le cose come stanno: non perché non sia sincero, ma per non far star male qualcuno a volte cerco di mediare e tenere i toni bassi. Essendo di animo buono, mi dispiace vedere determinate situazioni, che a volte forse non affronto con la giusta cattiveria.
Cos’è per te la famiglia? E che valore ha?
“Un valore enorme. La mia famiglia è composta dalla mia compagna e dalla piccola che fra pochi giorni compirà un anno ed entrambe sono state fondamentali per la mia crescita umana, soprattutto negli ultimi anni. Hanno un ruolo chiave perché vivono con me 24 ore su 24. Poi ci sono i miei genitori e mio fratello, anche loro fondamentali nella parte iniziale della carriera e che tutt’ora mi stanno vicino”. Francesco allarga poi l’importanza a tutto il parentado e mi conferma che tutti ormai tifano Sassuolo.
Il Calciatore – Che tipo di giocatore ti definisci? “Mi definisco un’altruista e un generoso per natura; preferisco tante volte mettere la squadra e l’obiettivo del gruppo davanti a me, per questo, a volte, pure mio padre mi rimprovera, perché dice sempre di fare qualcosa anche per me stesso. Io sono così di carattere e spesso preferisco, non passare in secondo piano, ma mettere davanti le ambizioni della squadra. Mi piace fare “il lavoro sporco” e questo a volte, di primo impatto, non viene sempre apprezzato dai tifosi; questo atteggiamento e questo tipo di gioco mi hanno comunque dato tante soddisfazioni e mi sono accorto che entrambi, negli anni, vengono apprezzati di più”.
Dopo 5 anni di serie B arriva la serie A. Cosa ti cambia?
“Sinceramente ancora non lo so. Ho vinto un campionato di serie B e tutti mi chiedono come ci si senta in serie A…Non lo so! Non ho la minima idea, non avendola mai affrontata, di cosa mi aspetti a livello tecnico, ambientale ed emozionale. Di sicuro so di essere arrivato dove volevo fin da bambino e di avere la possibilità di giocarmela e vedere com’è. Poi se sarò talmente inferiore ritornerò indietro. Per me è un mondo nuovo. Ho molta voglia di ricominciare e la curiosità è enorme”.
Qual è stato il miglior allenatore che tu abbia mai avuto in tutta la tua carriera?
“A volte i grandi campioni dicono che “si prende un po’ da ognuno”. In parte questa cosa è vera, anche se per la mia crescita devo tutto a Dante Selvi, mio allenatore alla “Tiferno ’90” (scuola calcio di Città di Castello, ndr) per 7-8 anni. Per me lui è stato un insegnante di calcio, comportamento e rispetto delle regole. Mi ha formato insomma. Poi in età adulta, quando si inizia ad entrare nel calcio che conta contano solo i 3 punti e bisogna rendere conto a tifoserie, giornali e contestazioni. In questo caso l’allenatore gestisce te e le pressioni intorno. I migliori che ho avuto nella globalità sono stati Allegri, Pioli e Di Francesco, uno per gestione, uno per mentalità, uno per rapporti. Credo che l’allenatore perfetto sia un’insieme delle loro qualità.”
Il momento più bello della tua carriera?
“Sicuramente la giornata che ha portato alla promozione, che sembrava cosa fatta fino a tre settimane prima e invece poi ci si è ritrovati con l’acqua alla gola e costretti al risultato positivo nell’ultima partita. Poi festeggiare e alzare la coppa da capitano. Era quello che volevo di più. La cosa più bella di tutte è stata vedere la città in festa e la gente che ti applaude.”
E il momento più brutto?
“Gli ultimi tre mesi dello scorso anno, dove aldilà della sconfitta ai playoff c’è stato un rapporto non bello con l’allenatore Fulvio Pea. Ci sono stati episodi brutti e problemi con alcuni ragazzi. Nonostante questo però la squadra ha fatto 80 punti e ha sempre puntato all’obiettivo finale mettendo da parte le ostilità con lui. Probabilmente la professionalità di tutti i ragazzi ha fatto sì che non venisse esonerato”.
A quale giocatore ti ispiri o pensi di assomigliare?
“Il giocatore che ammiro oltremodo è Pirlo, però credo di assomigliare più a De Rossi perché riesco a fare entrambe le fasi di gioco, cercando di rendermi utile con il mio altruismo ma aggiungendo anche della qualità”. Nel fare il paragone con De Rossi, Francesco ha detto “molto” per ben cinque volte prima di accostarlo alle parole “alla lontana”.
Il futuro – Pensi di poter diventare una bandiera del Sassuolo? “Penso di essere già una parte importante. Non lo so ancora. Sicuramente mi piacerebbe avere sensazioni diverse in futuro; non che qui non le abbia avute, sono sempre rimasto stravolentieri perché c’erano ogni anno stimoli nuovi e voglia di vincere. Di rimanere fino a fine carriera non lo so sinceramente. Gli stessi tifosi, con cui ho un bellissimo rapporto, se dovesse arrivare un’offerta allettante di una squadra con grandi ambizioni e una storia importante, so che capirebbero senz’altro le mie scelte”.
A fine carriera torneresti a giocare in una squadra della tua Alta Valle del Tevere?
“Si mi piacerebbe. Io e la mia compagna non abbiamo mai fatto progetti di vita. Qua ci sono le nostre radici, i nostri familiari e poi ci abbiamo comprato pure casa. Però non so ancora che vita farò, se smetterò col calcio, se farò l’allenatore o il team manager; se ci fosse l’occasione, stessi bene e la vita mi portasse a stare qua perché no?”.
Curiosità – Con chi scambieresti la maglia ? “Con Pirlo, di cui tra l’altro ne posseggo già una di quando era al Milan. E’il giocatore che ammiro di più. Ammetto anche di essere tifoso sfegatato rossonero”
Il numero “4” della tua casacca che significa?
Ride divertito. “E’ nato dal niente perché il primo anno non sapevo che numero prendere e c’era libero solo il 4. La cosa bella e strana è che il numero mi ha sempre accompagnato in tantissimi episodi della mia vita: sulle camere d’albergo che mi assegnano; la stanza dove è nata mia figlia era la “4”; pure sul numero civico di entrambe le mie abitazioni è presente.Ormai è il mio numero e spero di continuare con questo perché mi si ripresenta spesso e soprattutto in situazioni particolari e legate alla mia famiglia”.
Prima di salutarci Francesco si è messo volentieri in posa per la foto che vedete in alto e molto umilmente ci ha detto grazie svariate volte prima che potessimo farlo noi. Sempre con il sorriso sulle labbra ci ha salutato per ritornare dalla famiglia che lo aspettava in centro. Nel salutarlo abbiamo avuto la sensazione di lasciare un amico di sempre e non un prossimo calciatore della serie A. Ci auguriamo che la sua semplicità e disponibilità tutte tifernati portino qualcosa di buono anche nel calcio. Noi facciamo il tifo per lui.