Sono scesi in strada, nonostante il freddo, torce alla mano per dire “No alle mafie, a tutte le mafie”. Sono gli abitanti di Ponte San Giovanni, quelli radunati da Franco Granocchia che per l’Idv si occupa del “presidio della legalità” a Ponte San Giovanni e che da tempo, ancor prima delle operazioni dei Ros che hanno evidenziato le infiltrazioni mafiose in Umbria, denuncia l’aggravarsi dello stato di sicurezza nel popoloso quartiere perugino.
Alla fiaccolata oltre ai cittadini hanno preso parte il consigliere regionale Idv Paolo Brutti che è anche presidente della commissione regionale antimafia, il segretario nazionale Idv Ignazio Messina e Valeria Grasso, l’imprenditrice di Palermo che lavora nel campo del fitness e gestisce due palestre, che ricadono nel territorio controllato dalla famiglia di San Lorenzo, prima dalla famiglia Madonia e poi da quella dei Lo Piccolo.
La storia di Valeria Grasso. Tornata da Catania, dove viveva, decide di prendere in affitto una palestra nel quartiere di San Lorenzo nel bel mezzo della Piana dei Colli, un tempo residenza di famiglie nobiliari di Palermo. I proprietari fanno parte della famiglia Madonia-Di Trapani, che Valeria non conosce e di cui non conosce la storia. Dopo aver preso possesso dei locali e dell’attrezzature della palestra comincia a lavorare. Tutto procede bene fino a quando comincia ad avere dei piccoli problemi dovuti a lavoretti da fare nella palestra. Per le riparazioni si fanno avanti coloro che hanno locato la palestra a Valeria, la famiglia dei Madonia, che possedeva un appartamento proprio sopra la palestra e che propongono a Valeria di abitarlo. In realtà si occupano di estorsione, usura, appalti. Valeria va ad abitare in quella casa sopra la palestra e ci spende diversi soldi per la ristrutturazione. Di tanto in tanto la palestra ha bisogno di alcune riparazioni che la famiglia Madonia compie, facendole pagare un occhio della testa fino al punto di perdere il conto. Una sera di punto in bianco Valeria Grasso si è trovata nelle condizioni di dover lasciare, nel più breve tempo possibile, l’abitazione che i Madonia-Di Trapani le avevano locato. La scusa è che doveva andare ad abitarci una figlia. Di conseguenze Valeria si sobbarca altre spese per trovare un appartamento. Diversi giorni dopo viene messa al corrente del fatto che la palestra è stata sequestrata e che da quel momento in poi lei deve avere rapporti solo col Tribunale per quanto riguarda il pagamento della locazione della palestra. Da questo momento cominciano i guai per Valeria, che oltre a pagare un affitto al curatore dello stato, continua a pagare una pigione alla famiglia mafiosa dei Madonia-Di Trapani. Quindi Valeria comincia ad avviarsi verso una catastrofe economica e decide di vendere l’attività della palestra. Trova un acquirente giovane e questi le passa un acconto sul prezzo pattuito. Nel frattempo i vecchi proprietari le fanno sapere di comunicare all’acquirente che doveva continuare a versare anche lui la doppia pigione. Valeria non ci sta. Decide di salvare quel giovane, restituisce l’acconto ricevuto e si reca dai carabinieri a denunciare il tutto. Grazie alle sue denunce-coraggio, vengono arrestati gli esattori materiali ed i mandanti che erano le famiglie Madonia-Di Trapani, che andando alla sbarra hanno avuto condanne per diverse decine di anni di galera. Assieme ad Ignazio Cutro, altro imprenditore siciliano che si è ribellato al racket, è andata a Roma ad incatenarsi davanti al parlamento, ottenendo di essere ricevuta dal ministro D’Urso. Entra nel programma di protezione di testimoni di giustizia e dopo aver vissuto per due anni in località protetta, è tornata a Palermo dove ha riaperto la sua palestra.