Jacopo Brugalossi
L’atterraggio di fortuna su un isola immaginaria. Due servitori che improvvisamente si ritrovano padroni. I loro padroni che finiscono per doverli servire. Sono le regole della Repubblica degli Schiavi. Non si può sfuggire. E’ una storia raccontata con originalità, ironia, e straordinaria vitalità quella andata in scena nella chiesa di San Simone e inserita nella “Trilogia des Iles”, a cura dell’attrice, produttrice e regista britannica Irina Brook. Una storia che diverte, appassiona, commuove. Un atto unico di oltre 100 minuti da vivere tutto d’un fiato, in cui lo spettatore non si annoia nemmeno per un istante.
Muovendosi in una scenografia realizzata quasi esclusivamente con materiali di recupero, povera, ma proprio per questo affascinante, i cinque protagonisti sprizzano energia da tutti i pori. Il comandante dell’aereo che naufraga non è altri che Trivelin, il governatore dell’Isola degli Schiavi. Un posto in cui vige principio dell’inversione sociale, gli oppressori diventano oppressi e gli oppressi padroni, con l’obiettivo di “guarire” i primi dalle loro peggiori malattie: l’egoismo e la superbia. Solo in questo caso potranno tornare a ricoprire il loro precedente ruolo nella società.
E’ l’ironia a dominare la prima parte dello spettacolo. Trivelin ipnotizza gli ex padroni, Iphicrate e Euphrosine, e li sottopone a due grotteschi “interrogatori”, durante i quali, in un crescendo di gag esilaranti propiziate dai loro ex-servitori Arlecchino e Cléanthis, saranno costretti a rivelare la loro vera natura. Bravissimi gli attori a cercare continuamente l’interazione con il pubblico, peraltro vicinissimo alla scena, cui a tratti si rivolgono direttamente con gesti e ammiccamenti, fino alla “cattura” di un signore comodamente seduto in seconda fila che ha dovuto improvvisare un balletto sexy con la bella Euphrosine.
L’atmosfera cambia quando i due ex-schiavi, ora padroni, si rendono conto che non potranno mai diventare come coloro che adesso hanno la facoltà di comandare. In un finale denso di emozione e sentimento, a tratti struggente, il perdono e la compassione prendono definitivamente il sopravvento sulla sete di vendetta, aprendo gli occhi anche a chi, fino a poco tempio prima, credeva di poter esercitare diritti sulla dignità altrui. Il sipario si chiude sulle note di una dolcissima canzone di Louis Armstrong che accompagna in un romantico pic-nic in spiaggia i quattro protagonisti: non più oppressi, non più oppressori, finalmente liberi.
Lunghissimi e convinti gli applausi che il pubblico, un centinaio di persone, ha tributato agli attori Hovnatan Avedikian (Iphicrate), Jeremias Nussbaum (Arlecchino), Augustin Ruhabura (Trivelin), Isabelle Townsend (Euphrosine) e Ysmahane Yaquini (Cléanthis). Tutti decisamente meritati.
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