Si apre il sipario al Teatro Nuovo e la prima sensazione è inequivocabile. Come novelli Neo (protagonista del celebre film Matrix) ci ritroviamo a dover scegliere se ingollare la pillola azzurra o la pillola rossa. Tutto ha inizio da qui: azzurra, fine della storia e tutti a casa nella propria cameretta a pensare ciò che si vuole. Rossa, si resta nel mondo delle meraviglie e si va a vedere quando è profonda la tana del Bianconiglio.
Va in scena, ieri sera 10 luglio, al Festival dei Due Mondi Il Lago dei Cigni, di Pëtr Il’ič Čajkovskij, coreografato per la danza, in origine, dal celebre Marius Petipa, e riscritto magistralmente per farne una versione che rispetta la tradizione ma con la mente ben piantata altrove da Angelin Preljocaj. Una Matrix della danza che non è ciò che appare.
In teatro a Spoleto si è anche convinti di assistere al Lago dei Cigni, ma in realtà la coreografia a cui assistiamo è piena di implicazioni e ramificazioni del destino che ne fanno una storia complessa e descrittiva e che sollecita molto l’intima convinzione dello spettatore. Proprio come Neo davanti a Morpheus prima di inghiottire la pillola rossa.
Ed è probabilmente questo che Preljocaj sembra volere per i suoi spettatori, che la curiosità e la voglia di conoscenza li faccia optare per il mondo delle meraviglie. Dal canto suo il coreografo ci mette l’aiuto di una scrittura di scena che pur salda nella tessitura originale (i personaggi sono tutti gli stessi di sempre, Odette, Odile, Siegfried, Rotbarth etc. così come anche la musica per il 90% dello spettacolo), ci porta dritti in una complessa storia di affari, sfruttamento e ambientalismo scorretto e negato.
Dopo Blanche Neige e Roméo et Juliette, Angelin Preljocaj torna al balletto narrativo, ambito in cui eccelle, e si accosta al capolavoro musicale di Čajkovskij affiancandogli arrangiamenti più contemporanei. Pur restando fedele alla struttura drammaturgica del celebre balletto, Preljocaj porta in scena la sua versione del mito del danzatore-cigno focalizzandosi sugli impulsi di ciascun personaggio.
Come ad esempio i genitori di Siegfried, quasi sempre tenuti nell’ombra nelle versioni della classicità e di cui Preljocaj dice in una intervista, “Nella mia versione, al contrario, sono molto importanti, hanno parecchie parti danzate, perché incidono sui rapporti fra i protagonisti. Il padre di Siegfried è un uomo piuttosto tiranno, incline all’abuso di potere. Sua madre è protettiva, richiamando in qualche modo l’universo di Proust”.
Il coreografo esplora la profondità di un lago che deve ancora svelare tutti i suoi segreti, riconnettendosi con la cultura russa a lui particolarmente cara.
Ne esce fuori una versione del balletto decisamente urbana e molto poco da Lago, dall’afflato post-industrial e libera da molti degli stilemi della classicità. Elementi però che sono impercettibili e vanno scovati con pazienza, come ad esempio il fatto che tutte le ballerine non usano le celeberrime scarpette e danzano invece a piedi nudi.
E l’utilizzo del bianco e nero che domina quasi tutta la messa in scena ed i costumi che in qualche caso e modo riconducono a torbidi familiari dall’odore sulfureo, fanno si che “Matrix dei Cigni” si impadronisca dello spettatore e lo trasporti in una sorta di mondo di mezzo.
Corpo di ballo del Ballet Preljocaj: meravigliosi, senza ulteriori definizioni o sforzi descrittivi. Aggiungiamo però solo un aggettivo in più: generosi!
Con Le Lac des cygnes, Preljocaj prosegue il suo studio, iniziato nel 2018 con Ghost, dell’immaginario del coreografo Marius Petipa che, a fine ’800, conquistò il pubblico facendo di Le Lac des Cygnes un classico del balletto.
Il pubblico di Spoleto, ad ogni buon conto, non si lascia “intimidire”, comprende e applaude senza discrezione. Un trionfo con molte chiamate alla ribalta che rende, a suo modo, la versione de Le Lac des cygnes di Angelin Preljocaj un vero classico.
Ammesso che non sia Matrix!
Foto: Festival dei Due Mondi