Se per caso avete visto correre una volpe, mentre attraversava Piazza Duomo, a scatti, scarti e zig zag, non abbiate sorpresa ne timore. E’ colpa di Giove Pluvio che si è divertito a rovinare la magia favolistica e al contempo rivoluzionaria della musica scritta da Leoš Janáček e intitolata Piccola Volpe astuta per l’inaugurazione della 66^ Edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Prima alcune gocce di avvertimento, senza che nemmeno una nota si fosse diffusa in Piazza, poi il tentativo di resistere stoicamente a lampi, tuoni e nuvole decisamente minacciose annunciando persino dal palco che la perturbazione sembrava fosse di passaggio e che di li a poco i Professori d’Orchestra sarebbero tornati in scena. Ma nonostante l’ottimismo profumato della vita, in Piazza Duomo non si è riusciti a produrre quella necessaria condizione di favore che convincesse Giove Pluvio a non rompere le scatole. Chissà se occorreva una vera macumba per estorcere una grazia a quella divinità birbante, mezza nuda e con i fulmini in mano.
Alla fine, uno scroscio di pioggia vera, improvviso e violento, ha convinto il pubblico fin li rimasto in piazza a prendere la decisione di un precipitoso ritiro per ripararsi in ogni dove ci fosse una copertura.
Il Concerto inaugurale annullato, ormai una tradizione nella composizione del programma ad opera della direzione artistica di Monique Veaute, era stato affidato all’Accademia di Santa Cecilia, al terzo anno in residenza al Festival di Spoleto, sotto la guida del talentuoso direttore ceco Jakub Hrůša, recentemente nominato direttore musicale della Royal Opera House di Londra succedendo a Sir Antonio Pappano.
Centrale, nel programma, doveva essere la musica di Leoš Janáček di cui Hrůša, nato a Brno, è connazionale e tra i più apprezzati interpreti – grande successo ha riscosso di recente la sua direzione dell’opera Káťa Kabanová al Festival di Salisburgo.
La musica di Janáček è probabilmente tra le più espressive (se per espressivo intendiamo un nutrito coacervo di possibilità musicali senza schemi predefiniti), che si possano trovare nel XX secolo e Hrůša aveva realizzato una Suite con scene cantate dall’opera originale della celebre Piccola volpe astuta , con la quale si sarebbe aperto il programma di Spoleto. Ispirata a un romanzo a puntate per ragazzi, la storia della volpe Bystrouska (astuta) è un esempio di teatro musicale unico del suo genere e le vicende del piccolo animale sono una prima occasione per riflettere sul rapporto tra uomo e natura che sottende a tutto il programma del Festival.
Di grande suggestione è la dimensione popolare: a cavallo tra Ottocento e Novecento Janáček ha fatto della ricerca sui canti e le danze della Moravia uno dei tratti distintivi della sua musica e della sua ricerca etnomusicologica. Nelle Danze di Lachi, omonima regione orientale della ceco-slovacchia, ritroviamo melodie popolari e tradizioni con le quali l’autore riproduce in chiave personale l’estro gioioso di un’esecuzione folklorica.
Leoš Janáček è senza dubbio un artista che ha avuto una capacità assoluta nello scrivere musica in una forma descrittiva, quasi figurata, molto simile a quella della pittura. Nel programma di Spoleto66 si sarebbe potuto apprezzare questo aspetto decisivo dell’autore. Non solo in ogni caso per Piccola Volpe astuta ma anche per Sinfonietta forse il suo lavoro più conosciuto, un omaggio alla sua città della quale ripercorre strade e luoghi marcatamente simbolici in un tempo drammatico, post- Primo conflitto mondiale. Molta della sua istruzione e conoscenza musicale, ha tratto infatti spunto da studi del tempo sulla Psicologia Musicale e la Fisioacustica.
Janáček sosteneva che “ogni accordo può succedere ad un altro al di fuori delle regole codificate della concatenazione armonica a patto che questo procedimento risponda alle esigenze dell’espressione e della comunicazione sviluppatesi nel pubblico cui la musica è destinata”.
E indubbiamente il tempo di Janáček è stato il prodotto combinato di un romanticismo favolistico e fortemente simbolico- alla E.T.A. Hoffmann– che a partire dal ‘700 e ‘800, si tuffa nei primi tangibili sviluppi materiali della Rivoluzione Industriale di fine ‘800. per poi passare rapidamente ad ansie di futuro.
Rifugiandosi, nostro malgrado, in un ascolto di riserva su Youtube, rileviamo che in questa meravigliosa musica non è sicuramente l’aspetto bucolico di una volpe umanizzata da una voce di soprano secondo il progetto di Jakub Hrůša a farla da padrona, ma la strabiliante capacità di “pitturare con le note” nel loro complesso un movimento, un guizzo, un viaggio verso una meta non definita.
E dove meglio si poteva eseguire tutto questo, se non nel contenitore perfetto di Piazza Duomo a Spoleto, dove ogni oscillazione e movimento è tranquillamente accolto e rimescolato senza possibilità di perdersi in rivoli o rigagnoli. Come l’acqua in un bicchiere o in un lago, la musica di Janáček avrebbe potuto prendere la forma del contenitore adattandosi ai confini della piazza e abbracciando, senza stringere o soffocare, il pubblico presente in quella sorta di equilibrio virtuoso che accomuna contenitore e contenuto.
Peccato solo che di acqua ne sia stata versata troppa, ovviamente senza nessuna colpa del contenitore, che per lo più, si sa, è perfetto.
Di grande suggestione è la dimensione popolare dell’autore: a cavallo tra Ottocento e Novecento Janáček ha fatto della ricerca sui canti e le danze della Moravia uno dei tratti distintivi della sua musica e della sua ricerca etnomusicologica. Nelle Danze di Lachi , omonima regione orientale della ceco-slovacchia, ritroviamo melodie popolari e tradizioni con le quali riproduce in chiave personale l’estro gioioso di un’esecuzione folklorica.
Tutto questa segna una sorta di pietra di inciampo per l’autore che abbandona le amate tentazioni “romantiche” di quando l’influenza di Smetana e Dvoràk si faceva sentire forti, per traghettare in una dimensione, appunto popolare, ma con decise venature politiche ed intellettuali.
Quell’ansia di futuro che attraversò l’Europa a cavallo tra ‘800 e ‘900, purtroppo con esiti alterni e danni nefasti.
E tutto questo è andato perduto…come lacrime nella pioggia! (Roy Batty-Nexus6 Android)
Se la produzione particolare di una Piccola Volpe Astuta ad opera di Jakub Hrůša è senz’altro un quid di grande importanza per un Festival che si intitola spesso anche come sperimentatore, innovatore e collaborativo, di poca consistenza sperimentale e innovativa rimane invece la ripetuta scelta di inaugurare il Due Mondi in Piazza Duomo con un concerto.
Questa testata ne ha parlato più volte, e non per un partito preso o per rompere i cabbasisi a buffo, come ha fatto quell’infingardo di Giove. C’è un motivo organizzativo di fondo che da decenni è stato sempre rispettato. La fine di Giugno è quasi sempre, metereologicamente parlando, un po ballerina, mentre le prime settimane di luglio hanno invece riservato nel tempo poche sorprese per gli appuntamenti all’aperto. Ovviamente non si tratta di una regola immodificabile ma in questa edizione, in special modo si poteva fare qualcosa in più.
Lo scongiurabile (nel senso della ripetitività inoperosa) accoppiamento tra un Concerto inaugurale con il ben più blasonato Concerto Finale e la mancanza di una motivazione plausibile perchè ciò accada (ormai non conta più nemmeno il fatto che l’Opera non si sia fatta per due anni, visto che dal 24 giugno 2023 si torna alla tradizione), lascia nuovamente interdetti gli osservatori della kermesse spoletina.
Se il Festival ha in cartellone un Opera importante come Pelléas et Mélisande, quale potrebbe essere mai il motivo di inaugurare nuovamente con un concerto in Piazza Duomo e non con l’Opera stessa? Crediamo non possa essere nemmeno una presunta volontà di rendere popolare e numeroso l’accesso ad una manifestazione come un concerto in Piazza Duomo, perchè in ogni caso il costo dei biglietti rimane elevato., al netto delle riduzioni previste.
La novità della prima volta di una nuova formula di inaugurazione, accaduta con l’attivazione della Direzione Artistica di Monique Veaute aveva avuto alcune concrete giustificazioni, che ora non hanno più radici. Ed anzi rischiano di penalizzare il vero evento, ovvero il Concerto Finale del Festival.
E per gli storici della manifestazione, registriamo in ogni caso la prima volta in assoluto in 66 anni dell’annullamento di un concerto del Festival in Piazza Duomo. Inoltre, nel danno la beffa, le vendite sembrano non essere andate proprio male con una nutrita presenza di pubblico in Piazza. Motivo questo per cui non si poteva prevedere un piano B, con il trasferimento in altro luogo al sicuro, come poteva essere a questo punto il Teatro Nuovo, l’unico in grado per capienza di provare a “reggere botta”.
Rinunciamo a capire certe scelte, ma andare oltre la tradizione, nel rispetto del Festival, come altre volte è accaduto, mentre si proclamava di essere più menottiani di Menotti, è operazione che non è mai passata attraverso una presunto “futurismo” organizzativo e magari, “cazzottatore” alla Marinetti.
A organizzare un concerto di livello, avendo i mezzi economici per pagarlo, siamo quasi bravi tutti.
A creare un evento, invece, forse sono rimasti in pochi.
Per info sulla gestione degli eventi chiedere a quel giovanotto 90enne di Carlo Pagnotta, presente da 3 anni a questa parte imperterrito in Piazza Duomo nonostante l’umidità perniciosa e l’acquazzone, salvato in extremis dalla tempesta da Zefferino e Pitti Monini a Casa Menotti. Era tra i pochi vip presenti.