Al Festival dei Due Mondi di Spoleto, in una Piazza Duomo strapiena come nelle più grandi occasioni, è andato in scena il vero evento della 64^ edizione della manifestazione internazionale.
Brad Mehldau, il celebre pianista americano, ha chiuso ieri sera con un memorabile e commovente concerto per piano solo il ciclo di due spettacoli in programma a Spoleto e frutto della nuovissima collaborazione tra il Festival e Umbria Jazz. Lo scorso 2 luglio era andato in scena al Teatro Romano il Fred Hersch Trio.
Il tutto nel segno di un beneaugurante approccio artistico-culturale che già da solo vale come la novità più significativa degli ultimi anni nell’Umbria della cultura.
Dopo il divieto assoluto del fondatore, Gian Carlo Menotti, di trasferire nella programmazione la benchè minima traccia di sonorità jazzistica, durato per decenni, e lontani i tempi delle punzecchiature tra direttori artistici (Ferrara-Pagnotta) anche a causa delle programmazioni sovrapposte in termini di date (e su cui questa testata non ha mai risparmiato a chi di dovere aspre critiche), il tempo delle novità foriere di grandi speranze e novità artistiche si è finalmente concretizzato.
Ci voleva un pianista atipico come Mehldau, quasi un novello Keith Jarrett ma dal carattere infinitamente più affabile e cordiale, per assistere ai benefici effetti che le decisioni coraggiose riescono a produrre e senza il minimo sforzo. Una scelta indubbiamente non facile, ma molto misurata nella sua audacia, anche da parte dei due artefici della pax-artistica in Umbria -Carlo Pagnotta e Monique Veaute.
Un concerto per piano solo in un luogo come Piazza Duomo ed in occasione del Festival dei Due Mondi avrebbe potuto reggere in altri tempi solo se davanti alla tastiera del pianoforte si fosse trovato qualcuno del calibro di un Arturo Benedetti Michelangeli.
Assodato che tecnicamente Brad Mehldau è in grado di suonare qualsiasi genere musicale e soprattutto è in grado di riscrivere, comporre e riarrangiare con grande fascino anche classici che sembrano intoccabili, si fa invece sempre più evidente che la “contaminazione tra generi” è un contesto o un luogo del pensiero che sta per avere vita breve. (Nel video la meravigliosa performance a Parigi, tra Bach e improvvisazione)
Parlare di contaminazione, presuppone per logica che ci sia un contesto originario di specie, territoriale o di genere (e chissà che altro…) che viene temporaneamente superato mantenendo però ben saldo il legame al punto di partenza.
Ebbene a Spoleto, nella serata del 4 luglio 2021, si è fatto un passo avanti di grandissima rilevanza.
Il Jazz, o meglio lo spirito del jazz che vuol dire suonare, improvvisare, comporre, in una parola vivere, esattamente come qualsiasi altro genere musicale, entra a pieno titolo in una delle manifestazioni culturali più importanti del paese e tra le più conosciute a a livello internazionale e ne diventa elemento strutturale.
Poche volte nei molti anni in cui abbiamo seguito il Festival, prima da semplici spettatori e poi da cronisti “di campagna”, ci è capitato di assistere alla concentrazione assoluta del pubblico per ciò che stava andando in scena, in questo caso davanti al sagrato del Duomo.
Un silenzio ed una attenzione tra il curioso, la sorpresa, l’inaspettato che ha segnato le quasi 2 ore di concerto in cui Mehldau non si è risparmiato ne fisicamente ne musicalmente, offrendo al pubblico festivaliero un programma intenso e pieno di tanti riferimenti culturali, passando dai grandi classici come quelli di Thelonious Monk, Chico Buarque e Wes Montgomery, per arrivare poi ai Beatles, David Bowie e Jimi Hendrix.
Applauditissima, quasi con uno stupore di sottofondo, il riarrangiamento di Life on Mars del Duca Bianco, suonata con una tale intensità di piano e forte che ha sbalordito anche gli addetti ai lavori.
O il lirismo fascinoso di Samba e Amor di Chico Buarque (Samba do Grande Amor, l’originale) in cui Mehldau arriva a trasformare il brano fino a farlo somigliare, a tratti, ad un tango argentino. E in piazza si respira quella confortevole rilassatezza che fa scorrere un braccio dietro alle spalle di qualcuno che ti è vicino, in qualunque modo.
E non manca uno dei cavalli di battaglia di Mehldau, il brano originale Resignation. Sorpresa piacevole invece per la tonica Hey Joe di Jimi Hendrix
Ma, come spesso ci è capitato di scrivere in altre occasioni, raccontare o descrivere come cronaca una emozione è sempre un esercizio d’accademia che non ci entusiasma. E l’unica cosa che si può dire di un evento del genere, forse il vero evento di Spoleto64, è che bisognava esserci fisicamente per capire.
Che qualcosa è veramente cambiato lo si capisce anche dall’attenzione che alcuni dei protagonisti della scena culturale umbra hanno riservato all’evento di Piazza Duomo. Visti in piazza, ad esempio, l’Assessore regionale alla Cultura e Turismo, Paola Agabiti e addetti ai lavori (e che addetto!) come Luciano Biondini, il fisarmonicista spoletino, vera e propria autorità nella scrittura jazzistica per fisarmonica. Non si contano le sue collaborazioni con famosi solisti internazionali.
Con loro anche molta stampa specializzata.
Ma la presenza che più di tutte è un segnale inequivocabile è quella di “Sir Charles“, al secolo Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz.
Vestito di tutto punto, pantalone di lino bianco e blazer blu, stile vecchio lupo di mare, Pagnotta al termine del concerto scende dalla scalinata di Piazza Duomo e costeggia il Caio Melisso per andare a salutare nel camerino il suo pupillo, la sua scoperta si potrebbe dire, perchè non va dimenticato che Brad Mehldau ha suonato innumerevoli volte a Umbria Jazz e la manifestazione umbra è stata un po anche il suo trampolino di lancio nel contesto internazionale.
Carlo Pagnotta, che del “lupo” ha sicuramente l’olfatto sviluppatissimo, non può non aver misurato a palmi il successo clamoroso di un simile concerto. Jazz a Piazza Duomo e per piano solo!
Chi l’ avrebbe potuto mai immaginare realizzabile. Eppure è accaduto ed anche con la sua stessa firma, oltre naturalmente quella di Monique Veaute.
Se conosciamo bene “Sir Charles” (era il nome del suo negozio di abbigliamento a C.so Vannucci), una simile ambientazione non gli sfuggirà più di mano finchè sarà Direttore Artistico di UJ. L’unica cosa che potrebbe frenare il tutto è se Spoleto verrà intesa come un competitor.
Ma questa è un’altra storia e riguarda solo il buon senso di Monique Veaute.
Al termine applausi scroscianti, almeno 3 chiamate alla ribalte e due bis generosamente concessi (come è tradizione nel jazz), mentre alcuni spettatori che nel frattempo pensavano fosse tutto finito, rientravano frettolosamente in piazza per godersi i bis.
Audentes fortuna iuvat !! (Il destino favorisce chi osa)
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(Modificato alle 15,39)