“Io sono un istrione e la genialità e nata insieme a me”, cantava Charles Aznavour in una vecchia canzone dal testo significativo, esattamente come il suo incipit che apre la strada ad una chiacchierata generale sul teatro, proprio dopo il debutto de I Messaggeri di Emma Dante a Spoleto63.
Prima al Teatro Romano, ieri 21 agosto, con la consueta ottima organizzazione per la sicurezza già sperimentata in occasione dell’Orfeo in Piazza Duomo.
C’era molta attesa per questo nuovo lavoro della Dante, ormai una assidua frequentatrice dei palcoscenici spoletini. E il pubblico non è rimasto deluso.
Va in scena una serie di testi in forma di spettacolo concerto, tratti da Sofocle ed Euripide in cui i protagonisti sono i messaggeri di sventura.
E per un paradosso, istrionico secondo il nostro punto di vista, il primo di questi messaggeri è proprio un giovane attore del movimento sindacale “Attori e Attrici uniti” che legge un documento di sventura sulla situazione del teatro italiano alla luce dei provvedimenti per il contenimento della pandemia.
Una giusta rimostranza per la sottovalutazione politica nei confronti di un settore che dovrebbe essere considerato come l’aria in una società civile come quella Italiana che troppo spesso abbandona i suoi frutti migliori ad un rapido quanto irrimediabile deterioramento.
Il rischio maggiore è esattamente quello di vedere perdute intere generazioni di attori e tecnici e in generale di lavoratori del teatro e delle arti che non avranno palcoscenici su cui lavorare ed esprimersi per lunghissimo tempo.
In una recente intervista la stessa Emma Dante aveva detto di aver fatto un salto di gioia nell’apprendere che avrebbe potuto mettere in scena I Messaggeri proprio al Teatro Romano di Spoleto.
La motivazione è decisamente visibile e comprensibile proprio nel momento in cui la piece prende avvio.
Una sorta di cronicario con i personaggi principali avvolti nelle bende come sudari e seduti su sedie a rotelle inquietanti, nella loro drammaticità, per il luccichio delle cromature.
I messaggeri di Emma Dante infatti, prima di essere personaggi oranti, sono attori che vivono la sventura della possibile privazione delle loro funzioni.
Noi giornalisti di campagna non siamo particolarmente affascinati dall’attore che re-cita (replica) un testo a monte.
Ma adoriamo invece la genialità che è nell’istrione. A torto si pensava che definire istrione un attore significasse dargli del poco dotato.
Ma non è così, sopratutto se si prende un testo e lo si mastica e lo si riduce in poltiglia secondo i mezzi a propria disposizione. Un processo creativo, o meglio ri-creativo, in cui l’attore è altro da Se.
In questo contesto, Emma Dante in alcune sue regie ha sempre creato le condizioni per cui gli attori potessero essere vere macchine “di masticazione”, istrioni quanto basta. Spietata, la Dante, anche nell’uso della fisicità, obbligando i messaggeri a vere prove ginniche.
Un teatro fisico quello di Spoleto, seppure intitolato a Roma, molto prossimo a quello Greco da cui parte il messaggio di sventura che guarda, aldilà di tutto, ad un futuro.
Un teatro ridotto al solo palcoscenico e senza ammenicoli, ad esclusione di alcuni separè, che ne ingentiliscano l’aspetto, con le pietre cadute a terra e sedimentate da secoli di immobilità.
Pietre che è persino impossibile ricordare come manufatti architettonici compiuti.
Ma c’è sempre una via per cui anche dai messaggi di sventura e dalle pietre cadute a terra si possa riprendere un percorso di conoscenza e di crescita.
Per mesi abbiamo assistito ai bollettini quotidiani recitati dalla Protezione Civile sull’andamento della pandemia in Italia e forse mai masticati come sarebbe stato utile fare per consentire un processo creativo e rigenerativo.
I messaggeri hanno questo compito, e quelli di Emma Dante sono meravigliosi nella loro geniale capacità.
E poiché la voce è lo strumento, prima ancora della partitura, insostituibili sono stati nella piece spoletina il duo dei Fratelli Mancuso (Lorenzo ed Enzo, cittadini di adozione di Città della Pieve) che della voce fanno creazione nel solco di un canovaccio musicale.
Un lavoro enorme e la cui origine profonda si perde nella notte dei tempi. Lo ricordava anche il compianto Demetrio Stratos nel suo lavoro di ricerca Metrodora “Le corde vocali vibrano non per l’aria sospinta dai polmoni ma per impulsi provenienti da centri celebrali (R. Husson, 1951). La teoria neurocronassica di Husson, dopo molti esperimenti, non è stata del tutto accettata dalla fisiologia moderna; in realtà tuttora non si sa esattamente da dove venga la voce… “
Emma Dante torna a Spoleto con un lavoro di grande fascino e lungamente applaudito, sopratutto per merito de I Messaggeri, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Adriano Di Carlo, Naike Anna Silipo, Sabrina Vicari.
Masticatori superbi, istrioni pieni di genialità.
I testi tratti da Sofocle ed Euripide sono stati così lavorati:
Messaggero de Le Baccanti- traduzione di Edoardo Sanguineti
Messaggero di Medea- traduzione di Emma Dante
Messaggero di Edipo Re– traduzione di Adriano Di Carlo
Messaggero de l’Eracle- traduzione di Giorgio Ieranò
E’ merito della regista palermitana dunque se da Spoleto, dopo un messaggio di sventura, parte un nuovo racconto tutto da interpretare con un nuovo messaggero.
Non è una caso se i maggiori pensatori del passato traevano ispirazione proprio dalla attenta osservazione di ciò che apparentemente non finiva sotto lo sguardo comune. Magari come nel caso delle pietre cadute del Teatro Romano e che hanno fatto saltare di gioia Emma Dante
“…Khayyàm osserva il verde dell’erba e subito si fa vigile perchè questo verde sorge dalla terra che ieri era corpo e fattezza umana. Osserva le rovine del palazzo e ricorda che in questa che è ora dimora di uccelli e fiere selvatiche, un tempo vissero sultani”.
(‘Omar Khayyàm, poeta e matematico Sufi, morto nel 1130 D.C.)
Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)