Luca Biribanti
Il binomio tra uno dei più grandi poeti del '900 e uno dei più grandi attori di oggi non poteva che costituire un appuntamento da non mancare nell'ambito della programmazione del Festival. Il riscontro positivo a livello di pubblico, almeno nei numeri, c'è sicuramente stato, con il Teatro Romano tirato a lucido e con la cavea piena di aspettative, che, nonostante la qualità della rappresentazione, non hanno mantenuto le attese; in molti hanno abbandonato il teatro prima della fine e quelli che sono rimasti sono caduti in preda al disinteresse e alla noia. La convincente voce di Santamaria, accompagnata dalla musica composta da Flavio Emilio Scogna ed eseguita da un clarinetto, un violino, un violoncello e un pianoforte, non è bastata a veicolare la poesia di Pier Paolo Pasolini verso il pubblico, che è rimasto disorientato, non riuscendo a cogliere la complessità del polimorfismo linguistico e semantico del poeta. Pier Paolo Pasolini è l'autore che nel '900 letterario italiano che ha segnato il solco tra le 2 guerre, il precursore dell'ipertesto (con “Petrolio”), l'intellettuale elegiaco che vive violentemente la realtà politica e sociale in cui troverà la morte. È comprensibile la scelta di non voler spiegare le poesie tra una lettura e l'altra, per non snaturare quel linguaggio a volte visionario, a volte profetico che permea la stagione poetica pasoliniana. La ricerca linguistica, il Friuli e Casarsa, il fascismo frustrato del padre, il complesso di Edipo mai superato, il ghetto romano delle borgate, l'illusione del PCI e l'omosessualità sempre latente, sono piani che convivono nella “Poesia in forma di rosa” e si intersecano nella complessa ricerca di un'identità da opporre al mondo piccolo borghese. Lo spettatore si è probabilmente sentito frastornato dal flusso continuo della lettura, che è stata suggestivamente accompagnata dal quartetto con musiche che hanno ricordato quelle di “Uccellacci Uccellini” e l'interessantissimo sperimentalismo del piano, suonato con pizzichi delle dita alle corde senza passare per i tasti, e non ha percepito le sfumature di un'urgenza letteraria che in Pasolini si è manifestata all'età di 7 anni…
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