E’ proprio vero che le mutazioni climatiche, seppure fatte di impercettibili variazioni, generano frutti destinati ad avere conseguenze dai risvolti incalcolabili. Lo è stato per le glaciazioni preistoriche, ma lo è stato anche per il caldo torrido di Spoleto nella giornata di ieri, 28 giugno, giorno tanto atteso del debutto di Proserpine, spettacolo di apertura del 62° Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Quello che la morsa dell’afa ha prodotto, come risultato immediato, sulla kermesse spoletina di ieri è stata la scomparsa dei presenzialisti di natura sopratutto politica, tutto un genere di strana umanità alla quale interessa più il foyer del teatro, per la possibilità di chiacchierare di cose amene, che le assi del palcoscenico su cui invece si crea arte.
Il miracolo di Proserpine, potremmo definirlo, quello che ha così riempito il Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di reali appassionati di opera lirica, e nel caso specifico, di affezionati cultori della composizione contemporanea.
Si può ben dire infatti che esiste un gruppo di cultori che segue costantemente e con passione tutte le novità in tal senso e specificamente i lavori di Silvia Colasanti, ormai al suo terzo anno consecutivo a Spoleto.
Un contesto di attenti conoscitori della scrittura musicale che sono molto diversi dagli amanti del canto lirico tradizionale, dove l’esecuzione della partitura, tra rispetto della tradizione e puntigliosa valutazione del talento vocale, spesso travalica il lavoro corale di una messa in scena.
Il miracolo della Proserpine spoletina invece, è così, come per il mito originale, quello di creare le condizioni di una rinascita, il ritorno dei germogli nei campi, dopo sei mesi di oscurità. Un Solstizio d’Estate, che solo il caso ha voluto si spostasse a Spoleto di qualche giorno rispetto alla canonica data del 21 giugno.
L’afa e l’anticiclone dunque producono effetti benefici alla vita festivaliera, checchè ne dicano le copiose camice sudate di ieri al Teatro Nuovo.
Si sono rivelate profetiche le parole pronunciate da Giorgio Ferrara alla conferenza stampa di apertura della manifestazione, quando rispondendo a una domanda sugli ospiti attesi per la prima, aveva dettagliata la sua filosofia di vita circa la presenza di politici-vip al Festival, “non me ne importa niente”. (CLICCA QUI)
Anche se, ai soliti osservatori della simbologia ferrariana, non è sfuggito che il Direttore Artistico è tornato ad indossare i mocassini rossi, contro ogni possibile tentativo di iattura infernale. Ci mancava solo il “ratto di Ferrara”, visto che in scena c’era già quello di Proserpina.
Se il Minotauro di Silvia Colasanti, era stato un lavoro complesso e musicalmente parlando, aveva affinato la grande capacità creatrice di questa straordinaria e giovane compositrice, Proserpine si presenta invece come un lavoro maturo, capace di slanci musicali di grande intensità, lirismi improvvisi e descrittività testuale quasi di natura fotografica. Una partitura che ha decisamente privilegiato il rapporto tra madre e figlia (Cerere e Proserpina) e che la stessa Colasanti , nel libretto di sala , definisce il “suono dell’addio”.
In questa opera in effetti si sente molto come la compositrice si sia messa a disposizione dei cantanti, seppure serbando loro “scale” vocali non proprio agevoli.
Il che non ha impedito alla compositrice di scrivere una overture, il preludio strumentale Omens e l’intermezzo tra primo e secondo atto, The spring decrease, entrambi di una rara bellezza ispirante.
C’è sempre una misteriosa gestazione nella sintonia tra le donne, siano esse compositrici come Silvia Colasanti o cantanti come le 6 protagoniste di Proserpine, ma anche come la scrittrice Mary Shelley, autrice di questa sorta di tragedia pastorale, dal sapore rassegnato agli eventi ma al tempo stesso pieno di speranza per il ritorno di una figlia strappata dalle braccia della madre. Il tutto sarà evidente nel secondo atto dell’opera, dove il lungo dialogo tra madre e figlia, il suono dell’addio, lascia il pubblico incollato alle poltrone per complessità vocale e descrittività musicale.
Raro caso di opera tutta al femminile, con la “minuscola” apparizione di un demone al maschile, Proserpine, non ha in partitura grandi momenti di coralità vocale con cui spezzare il dialogo tra i protagonisti a cui vengono riservate invece quelle che potremmo definire tradizionalmente “arie” o duetti di grande intensità.
Ne parla ampiamente la stessa Colasanti nel libretto di sala, quando chiarisce che la sua scrittura ha puntato alla massima caratterizzazione delle singole vocalità. Giorgio Ferrara aveva accennato in conferenza stampa ad un nuovo modo di esprimere il canto ed in effetti, la sensazione è che non si vogliano creare le condizioni per analizzare una nota acuta ben fatta o un recitativo ben scandito, ma che si cerchi invece la massima condizione di affinità tra la storia raccontata (il testo a monte), la descrittività musicale e la espressività timbrica.
Un lavoro d’insieme che ha permesso alle singole cantanti di mostrare la loro eccellente preparazione vocale ed in alcuni casi anche la loro esperienza di scena.
Ceres- Sharon Carty , Proserpine –Dísella Lárusdóttir , Ino- Anna Patalong , Eunoe- Silvia Regazzo, Iris- Gaia Petrone, Arethusa- Katarzyna Otczyk, e infine Ascalaphus –Lorenzo Grante, sono tutti bravissimi cantanti che nella loro interpretazione hanno eseguito senza apparente fatica, il ruolo affidato.
Vocalità sicure e dotate di una precisa tecnica esecutiva, capaci di chiaroscuri in voce che affascinano nel contesto della messa in scena. Come nel caso del meraviglioso dialogo tra Cerere-Sharon Carty e Proserpina-Disella Larusdottir del secondo atto, ma anche come nell’aria in cui Arethusa- Katarzyna Otczyk, racconta il ratto di Proserpina, con passaggi drammatici e taglienti come solo un mezzo soprano di esperienza sa fare. (La Otczyk è una vecchia conoscenza spoletina, cresciuta al Lirico Sperimentale).
Di grande respiro e ingenua fanciullezza il canto delle ninfe Ino-Anna Patalong e Eunoe-Silvia Regazzo, o la vocalità tesa ed arcaica di Iris-Gaia Petrone, che deve annunciare le decisioni dell’Olimpo su Proserpina. Profonda e terrificante la voce del demone Ascalaphus- Lorenzo Grante a cui la partitura riserva poche ma incisive battute. Ma si sa, l’inferno è per gli eroi.
Nella biografia di tutti i cantanti in scena si potrà comunque notare come nessuno di loro è sfuggito al fascino delle opere di Mozart, Haydn e Wagner. Ma anche dei nostri Donizzetti, Rossini o Puccini. Compositori che qua e la sembrano materializzarsi anche tra le note scritte di Silvia Colasanti, nulla togliendo alla originalità della scrittura della nostra compositrice.
L‘Orchestra Giovanile Italiana rende giustizia al miracolo di Proserpina. L’afa e la calura del golfo mistico del Nuovo di Spoleto, hanno acceso nei giovanissimi musicisti l’ispirazione necessaria per eseguire con fatica, ma anche con giovanile baldanza, la partitura di Silvia Colasanti, che indubbiamente non è stata una passeggiata all’ombra.
Merito anche della bravura del Direttore d’Orchestra, Pierre Andre Valade, un vero interprete del repertorio musicale del XX e XXI secolo, cresciuto sotto l’ala del grande Luciano Berio. Una prova d’insieme che ha convinto il pubblico spoletino.
Le regie operistiche di Giorgio Ferrara, stanno diventando volta per volta, meglio di una autovettura tedesca per affidabilità e inossidabilità dei movimenti di scena, sempre dettati alla migliore condizione per l’espressione vocale dei cantanti, e per l’impossibilità di distrarsi dalla storia in corso per assenza di improvvisazioni o meccanismi teatrali,
Buono anche il lavoro di adattamento del testo di Mary Shelley operato con il fido René de Ceccatty, un tandem anche questo inossidabile.
Torna a Spoleto invece Vincent Darrè, che dopo la eccellente prova dello scorso anno con i costumi del Minotauro, anche a Spoleto62 non ha rinunciato a citazioni e copricapi scultura, un vero vezzo dello stilista creativo francese.
Nel caso di Proserpine il rimando più evidente ed immediato è quello delle Cariatidi ateniesi che visto il contesto, sembrano essere state staccate dal Partenone con tutto il capitello sovrastante il busto e messe a dimora sul palcoscenico del Nuovo di Spoleto.
Darré ovviamente mette il suo tocco personale e sceglie con una sapienza maniacale gli oggetti accessori, bracciali, collari e cavigliere, ma anche il giusto colore e la composizione della stoffa usata per i drappeggi, oltre al fatto che anche quest’anno i visi dei cantanti erano interamente pitturati. Espedienti che al gioco di luci ideato dalla brava Fiammetta Baldisseri, acquisiscono colorazioni e profondità luminose inaspettate e sorprendenti.
Ma dove Darré paga il prezzo più alto della citazione e nei costumi delle Shades of Hell, le Ombre dell’Inferno.
I costumi interamente neri ed eseguiti con una stoffa molto morbida, cadono dalla testa ai piedi, scendendo direttamente dal capo delle Ombre che indossano, come sorta di protuberanza verticale, un cilindro rotondo. L’effetto è identico al costume di scena di Alia Atreides personaggio del film Dune del regista David Lynch girato nel 1984. (vedi foto nella gallery).
Sandro Chia ha disegnato le scene di questa Proserpine festivaliera. Il grande interprete della Transavanguardia, ha optato per tre pannelli di enormi dimensioni, delimitando un contenitore che, attraverso l’uso di pochi colori (il rosso, il verde, una sfumatura del blu marino, il marrone) disegnati in forma di drappeggio, ha idealizzato le condizioni di luogo, inteso come insieme di musica, canto e testo, in cui si svolge l’opera.
Al termine dell’esecuzione calorosi applausi di tutto il pubblico presente e giudizi lusinghieri.
Tra i presenti alla prima l’attrice Marisa Berenson (che sarà protagonista di Berlin Kabarett) e la coreografa Lucinda Child, arrivata insieme ad Adriana Asti. Immancabile il giornalista Giuliano Ferrara, fratello del direttore artistico del Festival di Spoleto. Al Teatro Nuovo “Gian Carlo Menotti” c’era anche l’attrice e cantante napoletana, ma spoletina d’adozione, Serena Autieri. C’erano poi Anna Fendi e la presidente della Fondazione Fendi, Maria Teresa Venturini.
Pochissimi i rappresentanti del mondo politico. C’erano infatti i parlamentari umbri Franco Zaffini (FdI) e Raffaele Nevi (FI), l’ex sottosegretario Mibact Ilaria Borletti Buitoni, l’assessore regionale alla cultura Fernanda Cecchini, la presidente dell’Assemblea legislativa dell’Umbria Donatella Porzi, il consigliere provinciale Gino Emili oltre alla Giunta comunale di Spoleto guidata dal sindaco Umberto de Augustinis, che è anche presidente della Fondazione Festival. Presenti poi il prefetto di Perugia, Claudio Sgaraglia, il presidente della Corte d’appello Mario D’Aprile, il procuratore generale Fausto Cardella, il procuratore capo di Spoleto Alessandro Cannevale, il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni De Bellis e quello della finanza Alessandro Freda, oltre ai comandanti locali dell’Arma, della GdF e della polizia, i capitani Aniello Falco e Simone Vastano e il vicequestore Claudio Giugliano.
Ha collaborato Sara Fratepietro
Foto di scena: Festival dei Due Mondi -M.L. Antonelli per Agf
Foto ingresso a teatro: Tuttoggi.info-Festival Due Mondi
Foto ringraziamenti finali a teatro: Tuttoggi.info- Carlo Vantaggioli
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