WEG è una performance con otto danzatori e una pianista, un esperimento coreografico volutamente plurale, stravagante, prolifico e tumultuoso
Sostiene il programma di sala di WEG al debutto ieri sera, 1 luglio, al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti:
Definito da Le Soir come un «formidabile fuoco d’artificio visivo in cui umorismo ed eleganza sono meravigliosamente combinati» lo spettacolo si disvela agli occhi dello spettatore come una sorta di sogno ad occhi aperti, una caleidoscopica polifonia che esplora la nozione di piacere, di melodia interiore che porta al movimento.
Leggiamo sempre con attenzione ed anche con piacere i testi del programma di sala degli spettacoli del Festival, perchè sono molto spesso rivelatori di indizi preziosi per la comprensione del lavoro in scena, che spesso può invece trasmettere altro da quanto descritto.
Nel caso di WEG, coreografia per compagnia di danza e pianoforte della danzatrice e coreografa Ayelen Parolin, il programma di sala è coerente con quanto accaduto sul palcoscenico del Nuovo.
Tranne che per l’incredibile quantità di modi con cui è possibile suonare un pianoforte (verticale in questo caso) e di cui non ci eravamo mai fatta una idea precisa.
Se non fosse che la coreografia della Parolin ha in se una stretta correlazione con il suono e la sua emissione, sarebbe stato uno spettacolo interessante anche il solo osservare la musicista Lea Petra accudire ed anche martoriare il povero verticale in almeno una decina di modi. Con tubi d’acciaio corti, poi lunghi, con pezzi dei legno, con il leggio aperto e chiuso ritmicamente come uno strumento percussivo, con custodie dei Cd che al cambio di intensità nell’utilizzo si spezzavano con fragore spargendo un bel po di pezzi in un angolo del linoleum, creando una difficoltà in più per i piedi dei danzatori, come se la coreografia non li mettesse già in una condizione estrema. Ovviamente il tutto con lo strumento completamente scordato, e immaginiamo, già vittima di numerose esecuzioni teatrali, tanto da farne un superstite senza speranza.
E tutto questo sarebbe già molto di più di quanto descritto come “caleidoscopica polifonia che esplora la nozione di piacere, di melodia interiore che porta al movimento”.
Tuttavia i danzatori in scena esprimono tutta una gamma di reazioni fisiche, o anche di movimento quasi ossessivi (supponiamo solo in parte codificati in una scrittura coreografica), che lasciano di stucco la platea del Nuovo dove non vola una mosca e nemmeno un colpo di tosse fino alla fine dello spettacolo.
Nella danza contemporanea, così come nella prosa teatrale, il movimento frammentato, spezzato, è a suo modo un linguaggio ulteriore e sempre più frequente, oltre quello delle linee in continuità che disegnano invece spazi dove osservare la totale armonia tra movimento, suono e capacità espressiva dei danzatori.
I ballerini di WEG hanno in se una tale somma di espressioni che sembrano non ripetere un solo movimento uguale per tutti i 60 minuti di spettacolo.
Sembra quasi che si metta in scena un grande rito liberatorio in cui si mescola senza riserve, passi classici, pas de deux, tremori febbrili, spasmi muscolari, oltre la classica rabbia e disperazione. Insomma tutto quello che umanamente un corpo è in grado di fare ogni volta che viene sollecitato da un suono.
Ed è un cammino talmente profondo, compiuto a ritroso, che gli spettatori spoletini (buona la presenza ieri al Nuovo) innegabilmente hanno una certa difficoltà ad associare il tutto al concetto di “sto guardando un spettacolo di danza”.
Ma una volta chiarito l’equivoco, WEG è anche uno spazio aperto al divertimento, all’umorismo che strappa sorrisi e crea persino una certa empatia e solidarietà con i danzatori che al termine avrebbero bisogno di una flebo di fisiologica per quanto sono sfiniti. Dire che sono bravi è praticamente impossibile da un punto di vista classico; sicuramente sono straordinari e generosi nelle loro intenzioni.
Così come sono chiare le intenzioni di Ayelen Parolin che racconta: “Quando ho letto Sapiens di Yuval Noah Harari, ho iniziato a fantasticare sulla creazione di un’opera nutrita di universi intimi, sulla scoperta del sé. Con WEG ho voluto lavorare sulle fantasie esuberanti che abitano questo sapiens paradossale, incoerente, instabile e fragile“.
E mi raccomando non sparate sul pianista!