Spoleto

Festival dei 2Mondi, Le Crocodile trompeur/ Didon et Enée la nuova “forma di Opera” che non c’è

Era troppa la curiosità di scoprire il segreto di questa “nuova forma di opera” di cui ebbe a dire la Direttrice artistica del Festival dei Due Mondi, Monique Veaute, qualche tempo fa in occasione della presentazione ufficiale del programma. Talmente nuova e imprescindibile da un certo “nuovismo” ad oltranza che più che guardare avanti tende prima a minare i pozzi come nella guerra in Iraq togliendo di mezzo l’opera per come l’abbiamo sempre conosciuta: ovvero unico spettacolo di apertura della nuova edizione della manifestazione.

La nuova forma che è…vecchia

E si badi bene non si parla di lirica o melodramma toutcourt. Il Festival in 65 edizioni ne ha viste tante anche in termini di scelte fuori dalla cosiddetta tradizione. Per rimanere negli ultimi 13 anni, i più freschi nella memoria per gli anziani come chi scrive, ricordiamo Padmavati del 2008, Gogo no Heiko nel 2010 o il coraggioso trittico di atti unici dedicato alle musiche di Berlioz, Poulenc e Schönberg in Spoleto57

In buona sostanza, la nouvelle vague operistica (o operaia?) spoletina è consistita nel prendere una delle più famose opere barocche Dido & Eneas, per altro la prima scritta in lingua inglese, di Henry Purcell e stravolgere il libretto con artifici drammaturgici e scenici , infarciti con citazioni altre (Shakespeare e Virgilio ad esempio), che alla fine superano di gran lunga, come solitamente accade in questi casi, il senso della scrittura musicale per andare a parare altrove.

Se questo è quanto ci meravigliamo molto della definizione di “novità”.

La meccanica teatrale vista ieri sera a San Simone ed utilizzata per realizzare Le Crocodile trompeur/ Didon et Enée di SAMUEL ACHACHE, JEANNE CANDEL, FLORENT HUBERT è di grandissimo effetto, non c’è che dire, e strappa anche sorrisi e applausi convinti. Ma se si è persuasi che questa sia la nuova forma di Opera, direi che siamo caduti nell’ovvio dei popoli.

Invece di guardarsi compiaciuti l’ombelico sarebbe bastato dare una occhiata a sinistra e destra e magari anche in alto, e ci si sarebbe accorti che da tempo (con maggiore frequenza, da una 20ina di anni) le regie operistiche o in generale tutte quelle che traggono spunto da una partitura musicale, tendono a creare effetti diversi proprio per non dover sottostare ad un rigido percorso interpretativo. Distrazione registica di massa.

I casi di Opera non Opera

Personalmente possiamo citare un Flauto Magico disastroso in termini di resa teatrale, messo in scena per la regia di Graham Vick allo Sferisterio di Macerata dove Papageno era un venditore di pollo fritto del fast food e Pamina una tossica che viveva in un cassonetto dei rifiuti.

Ma potremmo citarne altre di nefandezze più o meno divertenti. E nonostante ciò, riconfermiamo la buonissima impressione di quanto visto a San Simone

Ma definire Le Crocodile Trompeur una nuova forma di opera, ribadiamo convinti “anche no!”

Il Festival, che è dotato di sani anticorpi, checchè se ne dica, aveva gia “tastato il terreno” al Caio Melisso nel 2013 mettendo in scena l’operetta buffa di Offenbach CroqueferTulipatan . Fu un successo senza precedenti, e a volerlo poteva anche essere l’opera inaugurale, spingendo il piede sul fatto che una certa categoria minore di spettacolo operistico, come sono gli Intermezzi, hanno tutte le carte in regola per diventare dei classici intramontabili. Ne sa qualcosa il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto che su questo ha una sua rassegna fissa ogni nuova edizione, sempre affollata di pubblico e sempre soddisfacente in termini di gradimento e realizzazione.

Sempre il Lirico da molto spazio alla ricerca musicale con la rassegna Opera Nuova e frequentemente tira fuori dal cappello a cilindro cose di pregio assoluto. Citiamo a memoria Alfred Alfred  di Franco Donatoni (burla musicale sulla condizione ospedaliera e scritta nel 1995) con la regia di Paolo Rossi. Ma anche L’Orfeo vedovo di Alberto Savinio del 2016 o il Giovanni Sebastiano di Gino Negri dello scorso anno.

Se si decide di non inaugurare il Festival di Spoleto con l’Opera lo si deve dire chiaramente e senza sotterfugi lessicali. E’ una scelta del direttore artistico e questo è un fatto. Ma accampare scuse come i costi alti di realizzazione (chiedetelo al Lirico Sperimentale come si fa a produrre con successo ma con budget ridotti, loro sono del mestiere e magari vi potrebbero aiutare), o peggio la pandemia, alza inutilmente solo la temperatura di ebollizione del cervello di chi ancora pensa.

Le Crocodile trompeur/ Didon et Enée …e i Monty Python

Riporta il libretto di sala:

Lo spettacolo è un grande affresco dove la follia e la stravaganza rappresentano un battito pulsante.

La scena è liberamente ispirata al dipinto di Brueghel L’ouïe tra allegoria e realtà, mentre la musica, volontariamente destrutturata, esalta la passione dei sentimenti.

«Amare, lasciare, divorare, lasciarsi morire».

L’orchestra, diretta da Florent Hubert si integra appieno nell’azione teatrale tanto che i musicisti diventano attori e gli attori sono essi stessi musicisti che interagiscono con i codici dell’opera. In scena, essi combinano sapientemente la parola con il canto, il francese con l’inglese, il sentimentalismo o l’intellettualismo più dichiarato con la comicità.

Lo abbiamo riportato integralmente perchè meglio non si poteva descrivere. Aggiungiamo di nostro che già nella prima scena della “opera non opera”, l’apparizione di una sorta di equipe chirurgica strampalata che compie l’autopsia di Didone ormai morta, per andare a scovare le ragioni dell’amore ci ha immediatamente fatto tornare alla mente le rocambolesche avventure dei Monty Python. Proprio loro, che hanno sempre avuto in mente un genere di dissacrazione del testo o dei temi classici ( Brian di Nazareth, Il sacro Graal su tutti) che anticipava di molti anni la visione della “nuova forma di opera”, anche senza musica nel caso specifico.

Cast da fare invidia a chiunque, per capacità smisurata sia nel registro attoriale che in quello del canto e dell’ esecuzione musicale.

Nota di colore: era presente a San Simone anche Monique Veaute con alcuni ospiti tra cui Fabrizio Grifasi, Direttore Generale e Artistico di Romaeuropa.