Spoleto

Festival dei 2Mondi, Alessandro Lanzoni Trio apre con successo il nuovo spazio del Jazz Club a Spoleto67

Il cortile interno di Palazzo Collicola è noto ai più per essere stato nel tempo un luogo espositivo di molte avventure in arte ma anche una location multiforme per eventi di carattere musicale e- per qualche edizione- anche una sorta di meeting point per le presentazioni degli artisti e dei programmi del Festival ai tempi della direzione artistica di Giorgio Ferrara.

Nella tarda serata del 29 giugno, verso le 23, come si conviene ai fumosi ed odorosi Jazz Club di stampo americano, quelli che non vedono mai la luce naturale del giorno, il popolo curioso e appassionato del Festival di Spoleto ha assistito all’avvio di una nuova programmazione nel cartellone generale della manifestazione. Parte con tutti i sacri crismi il Jazz Club del Festival dei Due Mondi, studiato in collaborazione con il mentore del genere musicale in Umbria, Carlo Pagnotta.

Per chi non lo sa, il jazz nella regione di San Francesco arrivò molto prima (erano i primi anni ’50) che nascesse Umbria Jazz. E fu proprio Carlo Pagnotta con un manipolo di affezionati dell’epoca a dare vita all’ Hot club di Perugia poi trasformatosi in Jazz Club Perugia nel 1960, dove con i primi artisti italiani si iniziò a praticare la religione del genere musicale nato nei campi di cotone insieme alle prime tracce di Blues.

Ma non è questo il luogo per riaprire un focoso dibattito, mai sopito, del genere “nasce prima l’uovo o la gallina?”.

Quello che ci importa ora raccontare è che a Palazzo Collicola le sedie disponibili erano quasi tutte occupate, 200 quelle predisposte, e che dai volti dei frequentatori del Jazz Club spoletino, molti di loro non erano nemmeno popolazione locale. Per un verso un rammarico, ma anche un dato di fatto incoraggiante sulla trasversalità di certe iniziative che attirano, forse anche per il costo “giusto” del biglietto. Del resto il jazz è anche nomadismo e non solo fisico, ma soprattutto mentale.

Alessandro Lanzoni Trio e Francesco Cafiso

Si dica quel che si vuole, ma la prima sensazione che si ha nell’ascoltare ed osservare questi “sapienti” e giovani musicisti è la voglia e il piacere di stare tra loro. In un video di qualche anno fa (2022), alla partenza del loro primo tour, Alessandro Lanzoni– piano, Enrico Morello-batteria e Matteo Bortone-contrabbasso, con lo special guest Francesco Cafiso-sax, parlando con il pubblico, raccontavano un percorso di condivisione delle loro esperienze musicali e soprattutto si divertivano e sorridevano per più di 2 ore di concerto, tra standard dei grandi autori e singole composizioni scritte dagli stessi musicisti.

Nella serata spoletina il canovaccio è stato lo stesso, con qualche anno in più di frequentazione musicale e soprattutto, per chi come noi di Tuttoggi, ha potuto assistere anche al sound check prima del concerto, con un rispetto tra pari che in altri assemblaggi artistici contemporanei è davvero raro ritrovare. Ancora oggi la nota distintiva di chi frequenta il Jazz è il senso di comunità ed il rispetto tra singoli componenti. Un grande, come è stato Sonny Rollins spiegò in una vecchia intervista, in maniera asciutta- alla Miles Davis per capirci- la dinamica perfetta di chi suona il Jazz. “Noi ci scegliamo!”. (Nella foto di Umbria Jazz sotto, due che si sono scelti, solo, qualche anno fa !)

A Palazzo Collicola, dunque, in più di un ora di concerto abbiamo potuto ascoltare in anteprima brani del nuovo lavoro discografico del Trio con Cafiso (prossima uscita in estate inoltrata), dove è stato chiaro come non esista in questa loro esperienza una preminenza tra comporre e interpretare il jazz. Nessun solismo-onanismo, nemmeno da chi se lo può permettere in grande scioltezza come Cafiso (le sue collaborazioni internazionali sono quasi una enciclopedia del genere musicale). Ma la giusta dose di “questo e quello” che trasmette al pubblico del Festival una idea compiuta di grande serenità espressiva e grande empatia tra i singoli musicisti. E’ pur vero che più si suona insieme e più ci si conosce, ma il sapere dell’uno e dell’altro non è tutto, e a volta occorre anche rinunciare ad un pezzo del proprio “entusiamo” di artista per metterlo a disposizione degli altri.

La prova regina di quanto sopra è stata quando il pubblico, dopo aver chiesto il tradizionale bis al gruppo, ha potuto ascoltare una versione lussuosa e decisamente flessuosa di un celebre standard suonato dall’orchestra di Duke Ellington e scritto da Billy Strayhorn, Isfahan. In questo brano la partitura prevede una preminenza del tema a favore del sax, ma nella serata spoletina, l’amalgama virtuoso dei quattro nel brano è stato evidente. Non fosse bastato un intero concerto prima, peraltro.

Ed il pubblico ha molto gradito, con applausi generosi e tutto l’armamentario di rito del gradimento senza galateo. Gli amanti del Jazz sono molto spesso (ma non è una regola sia chiaro), francamente e innocentemente impenitenti dei loro peccati, mentre per contro, sono molti disponibili a giustificarli. E così, mentre in anni passati sembrava una eccentricità suonare il Jazz a Spoleto, ora sta diventato una splendida abitudine.

Insomma, un esordio festivaliero sotto ottimi auspici. E che Dio ci conservi il Pagnotta-Guru, che ha ispirato tutto questo.