C'era anche Andrea Camilleri ieri sera in prima fila all'Auditorium della Stella di Spoleto, ad assistere alla prima messa in scena del testo teatrale “La Vertigine del Drago”, scritto da Alessandra Mortelliti sotto la “supervisione” del grande scrittore siciliano e diretto dal “giovane Montalbano” Michele Riondino, al suo esordio alla regia teatrale.
Sono proprio la Mortelliti e Riondino i due personaggi che animano questo interessante spettacolo, capace in poco più di un'ora di grande ritmo di strappare al pubblico una lunga serie di risate e alcune lacrime. L'integrazione, l'emarginazione, la vita di periferia, l'isolamento. Sono questi gli scenari su cui si snoda “La Vertigine del Drago”, tutto interamente ambientato all'interno di uno squallido garage dei borghi più popolari e degradati di Roma.
Splendida la scenografia che immerge sin dalla prima scena lo spettatore in un ambiente noir carico di realismo. Un intelligente gioco di spazi, di luci e di ambienti, capace di trasformare una saracinesca e due pareti in un buio scantinato di cui lo spettatore riesce quasi a percepire l'umidità sul pavimento.
La vicenda – Lo spettacolo racconta la breve convivenza forzata di Francesco, naziskin non troppo spietato ben interpretato dallo stesso Riondino, e di Mariana, imprevedibile 22enne Rom resa in modo davvero convincente dall'autrice Alessandra Mortelliti.
I due si trovano nel garage dopo che il giovane, scoperto ad appiccare un incendio in un campo rom della Capitale, è costretto a prenderla in ostaggio per guadagnarsi la fuga, durante la quale resta ferito da un colpo di arma da fuoco. La condizione di relativa fragilità dell'uomo che non riesce a fermare il sangue, insieme alla sensazione di abbandono di entrambi da parte dei propri gruppi di appartenenza, porta i due a confrontarsi, sebbene in un rapporto squilibrato e violento, e a scoprire poco alla volta di non essere alla fine dei conti tanto diversi.
Lo spettacolo – Lo spettacolo ha il merito non da poco di riuscire a rendere in scena in modo verosimile argomenti di grandissima attualità, che fanno ripensare alla vicenda del 2010 tornata alle cronache nei giorni scorsi del campo rom dato alle fiamme a Napoli dalla Camorra per tenere i figli degli “odiati zingari” lontani dai propri bambini. I due protagonisti riescono a portare in scena la realtà di abbandono, di solitudine, di difficoltà economica e occupazionale. Situazioni estreme che sono indicate come l'origine dell'odio contro il capro espiatorio, lo straniero, facile bersaglio a portata di mano per dare uno sfogo alla propria rabbia.
Il taglio scelto dall'autore è quello di un certo realismo mischiato a degli ingredienti di pura finzione scenica e narrativa, pensati per dare ritmo alla vicenda e affrontare l'argomento senza lasciarsi andare al troppo crudo. Belli anche gli intermezzi di luce e musica, utilizzati in scena per entrare nella personalità del naziskin, raccontando il suo rapporto con la droga, le delusioni della vita, ancora una volta l'abbandono.
In sala – Lo spettacolo è stato accolto positivamente dal pubblico e dallo stesso Camilleri, che ha abbondantemente applaudito il fortunato esordio di Riondino e dell'autrice. In sala, oltre al coautore del testo, sono intervenuti alla prima numerosi personaggi e amici dello scrittore siciliano, tra cui il conduttore televisivo Michele Mirabella, oggi protagonista di un incontro a palazzo Collicola.
Francesco de Augustinis
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