Vittorio Sgarbi la sa lunga su come far parlare di se e delle sue iniziative. E così anche in questa edizione del Festival dei 2Mondi, in occasione della prossima presentazione di “Spoleto Arte”, la voce del più controverso, amato ed odiato critico d’arte d’Italia torna a farsi sentire con il registro a lui più congeniale, quello della polemica tonitruante. Sgarbi ritorna in Umbria dopo il discusso «divorzio» del 2012 con il Festival e l’inaugurazione di uno spazio alternativo per l’arte contemporanea.
Martedì 24 giugno alle ore 11,00, a Roma, nella sede dell’associazione Stampa Estera, in via dell’Umiltà 83, si svolgerà la Conferenza Stampa di presentazione alla presenza, oltre al curatore, dell’artista José Dalì (figlio del più noto Salvador Dalì) del produttore della rassegna Salvo Nugnes (Promoter Arte) e di rappresentanti istituzionali.
Il critico, intanto, torna a sbertucciare “l’inossidabile gerenza” del Festival dei Due Mondi: «Non basta certo un cartellone musicale e teatrale di amici per tener vivo un gusto e un modo di vivere che furono un aspetto sofisticato della dolce vita di Spoleto, parallela a quella romana».
E prospetta un cambio di rotta, quasi tirando la giacchetta al nuovo sindaco Cardarelli ( ormai sembra lo sport preferito cittadino ndr.): «Con la nuova amministrazione Spoleto dovrà ripensare al suo rapporto con il festival e meditare al suo fiorire negli anni eroici di Giancarlo Menotti, la cui presenza, anche alla fine, attribuiva alla città un’aura che non è soltanto memoria dei laudatores temporis acti, ma consuetudini, riti, incontri, appuntamenti, di cui oggi non vi è più traccia. E’ difficile immaginare un festival di Spoleto senza Alberto Arbasino testimone e senza gli eroi di quel mondo perduto, con Menotti, Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Giovanni Carandente. Per me che li ho conosciuti, Spoleto appare come i resti di una civiltà scomparsa. Inutile cercare di animarla artificialmente. Occorre commemorarla ».
Ora sarebbe anche troppo semplice chiosare il “mitico” Sgarbi osservando che quello che viene citato come Eldorado del Festival è quello che si potrebbe citare come un funereo “Ei fù…”, visto che due terzi dei citati sono scomparsi. Dunque il Festival si fa con quello che c’è in frigorifero, e la colpa se il livello attuale in circolazione della faccenda è quello che è non è che se lo può caricare sulle spalle solo il Festival. Se un appunto si può fare nel corso degli ultimi anni al M° Ferrara è proprio quello di non aver usata appieno la lezione menottiana del “girar per teatri”, ovviamente anche esteri, che fece la fortuna del Festival, indipendentemente dalla caratura degli artisti nazionali.
Ma tant’è, e lo Sgarbi nazionale s’inventa la “supercazzola” della città da “commemorare come civiltà scomparsa” come se Spoleto fosse destinata a morire di Festival, quasi fosse una malattia contagiosa al pari di Ebola.
Del resto la litania di Spoleto morta dura dal 2012 (basta digitare sul nostro motore di ricerca la parola SGARBI per ritrovare tutte le sgarberie in tema ndr.), il che fa pensare che il criticone non ne capisca un acca almeno di diagnosi mortali.
Sicuramente però nel campo della comunicazione è il Top di gamma, come quando nel 2012 con una scultura fantasticamente inutile, opera del russo Michail Misha Dolgopov, altrimenti conosciuta come “Fellatio”, riuscì a far parlare di di se e di Spoleto Arte per più di due mesi, baypassando la polpa di quella edizione con Gillo Dorfles ed altri che invece la rendevano davvero una alternativa serissima alla programmazione ufficiale festivaliera. Ma forse temendo lui stesso la noia “killer” della cultura, Sgarbi puntò tutto sul BlowJob artistico. Sigh!!
Per l’edizione 2014 di Spoleto Arte Sgarbi riciccia sullo schema di gioco e inaugura un ciclo di incontri con i «grandi vecchi» della cultura italiana.
Tra questi lo scrittore centenario Boris Pahor, tenuto vivo dalla rabbia per la violenza subita con la deportazione nei campi di concentramento di Natzweiler-Struthof, Dachau, Bergen-Belsen. «Pahor – spiega Sgarbi – ha visto la morte negli occhi, ed è come un sopravvissuto, che è tornato dall’aldilà, e non vuole dimenticare. Quell’esperienza trasforma l’uomo, e gli fa intendere diversamente il rapporto con gli altri uomini, senza pietà e senza perdono».
E poi Eugenio Carmi «a cui chiederemo – racconta Sgarbi – ragione della sua armonia del mondo, delle sue geometrie colorate, del suo indefesso omaggio ai maestri dell’Astrattismo, da Kandinskij a Mondrian a Klee, e se questo lo abbia tenuto lontano da una realtà contaminata»-
Ci sarà anche Mina Gregori «che potrà raccontare – annuncia Sgarbi – come sia stato esaltante stare vicino a Roberto Longhi, ripercorrendo momenti fondamentali della resurrezione dell’arte italiana».
Molto atteso l’appuntamento con il padre del critico d’arte, Giuseppe Sgarbi «che ha scritto il suo primo libro, “Lungo l’argine de tempo”, a 93 anni, imponendosi come il più antico esordiente dell’umanità. Delle molte cose che ha visto e della verginità del suo sguardo; e della buona qualità del suo pensiero e di un mondo perduto, che sopravvive nella sua memoria, potremo avere nozione e emozione sentimentale»
L’inaugurazione è in programma venerdì 27 giugno alle ore 18,30 negli spazi espositivi dello storico Palazzo Leti-Sansi, nel cuore del centro storico di Spoleto.
Oltre a proporre artisti affermati nel panorama dell’arte contemporanea (Eugenio Carmi, uno dei principali esponenti dell’astrattismo e José Dalì, figlio del più noto Maestro del surrealismo Salvador Dalì) la rassegna è un «osservatorio» (così ama definirlo il curatore) sugli artisti emergenti.
L’appuntamento più atteso è certamente la «personale» del Premio Nobel Dario Fo. Il grande attore e regista esporrà 20 tele che raccontano la sua passione per la pittura, dagli esordi, nel 1964, fino ai giorni nostri. Ma non solo. Assieme alle tele, Dario Fo porta a Spoleto immagini, disegni e video che raccontano aspetti noti e meno noti del suo lavoro teatrale, foto di scena e scenografie.
La rassegna propone, tra le altre cose, un omaggio a Pier Paolo Pasolini, attraverso gli scatti di Roberto Villa, un Maestro della fotografia, in una retrospettiva che documenta il Pasolini regista cinematografico. Autore di servizi fotografici per importanti riviste (“Vogue”, “Photo Magazine”, “Harper’s” “Esquire”, “Photo13”, “Epoca”, “National Geographics”) nel 1973 Roberto Villa è stato invitato da Pasolini a fotografare le riprese del film Il fiore delle Mille e una notte.
Non resta che attendersi il Colpo di Scena, che deve sicuramente esserci, altrimenti che gusto c’è !
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