Ventisette anni di reclusione ed un risarcimento ai familiari della vittima da quasi un milione di euro. Questa la sentenza emessa questa mattina, poco dopo le 13 dai giudici della Corte d’assise di Perugia per Danut Barbu, reo confesso per l’omicidio di Ofelia Bontoiu, commesso nella camera di un albergo di Gualdo Tadino nel 2014.
Stabilito anche il risarcimento ai familiari costituitisi parte civile: 300 mila euro ad ognuno dei genitori e 120 mila euro ad ognuno dei due fratelli della vittima. Ma la famiglia non è completamente soddisfatta “meritava l’ergastolo” hanno ribadito all’esito della sentenza.
Soddisfazione è arrivata invece dai legali del Barbu Antonio Cozza e Pietro Morichelli, “è stata esclusa la premeditazione che noi avevamo sempre contestato ed evitata una condanna all’ergastolo. Ora attendiamo le motivazioni e siamo pronti al ricorso per il riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’infermità del nostro assistito”.
ha raccontato tutto in aula davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Gaetano Mautone (Semeraro a latere) cosa avvenne quell’8 marzo.
La pubblica accusa sostenuta dal pm Paolo Abbritti, ieri aveva chiesto una condanna a 30 anni per l’imputato (per il quale i legali chiedono l’esclusione della premeditazione e il riconoscimento di una transitoria incapacità di intendere e di volere) che ha spiegato in aula come la sua unica intenzione fosse quella di togliersi la vita, per la fine del rapporto con la giovane che non voleva saperne di seguirlo in Inghilterra e che quando lei, inaspettatamente, fece ritorno nella camera, lui era già sotto l’effetto dell’alcol e degli psicofarmaci e in possesso del taglierino che aveva acquistato per recidersi le vene.
Quando i medici del 118 arrivano sulla scena del delitto Ofelia è già morta. Il cuore del suo assassino batte ancora, nonostante si sia inferto un taglio alla gola e ai polsi. Avvolto in un piumone viene trascinato fuori dalla stanza dell’orrore e portato in ospedale, dove i medici lo salvano.
La scena del delitto è spaventosa. Sul muro bianco, sopra il letto campeggia una scritta col sangue in lingua rumena “come ha sofferto la mia famiglia e sta soffrendo così soffra anche la tua” (diranno poi gli esperti di traduzione, come viene riferito in aula dai carabinieri). Lettere in stampatello, una insegna enorme, lunga quanto la spalliera del letto matrimoniale, su tre righe. Ofelia sul letto giace supina, prima colpita da una tavola di legno alla testa (trovata sopra il letto) e poi ferita con più ferite profondissime alla gola.
Una corda pronta in un boschetto. Il 4 Aprile 2014, circa due mesi dopo il fatto, la sorella dell’imputato ha indicato agli inquirenti un luogo dove Danut avrebbe collocato una corda, forse nel suo piano già premeditato di togliersi la vita, in una zona in campagna poco fuori Gualdo Tadino. Questo particolare è emerso durante una delle udienze e se per l’accusa rappresenta forse un elemento che sottintende la premeditazione del gesto per la difesa potrebbe invece rappresentare i disturbi psichici dell’assistito. Non trascurate durante l’udienza infatti le domande riguardanti le confezioni di farmaci rinvenute sulla scena del crimine e l’assunzione di psicofarmaci da parte dell’imputato.
“Lei non doveva rientrare, se non lo avesse fatto oggi io sarei morto e lei sarebbe ancora viva”, ha detto l’imputato quando è stato interrogato in aula, mentre descriveva il modo in cui la colpì, prima alla testa con la mensola di un armadio e poi alla gola con il cutter. Il processo di primo grado è ormai alla fine, la Corte aveva rigettato sia la richiesta di una nuova perizia psichiatrica che l’escussione di un nuovo teste. Oggi è arrivata la sentenza.
(Aggiornato alle 13.20)
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