Luca Biribanti
Il Cristo crocifisso, le teste mozzate del bue e l'asinello, la stella cometa di cartone e l'attore come un martire della contemporaneità. È questa l'immagine forte rappresentata ieri sera al Secci, per Fast, dalla compagnia “Babilonia Teatri”. Lo spettacolo “The end” è un invito alla riflessione sul tema della morte, o della vita?, e sull'incapacità dell'uomo moderno di accettare in modo dignitoso la conclusione di un ciclo naturale. È un grido di libertà e liberazione che squarcia il velo di oppressione della 'nera signora'. Ma è anche, per antifrasi, un inno alla vita, all'adesione dei ritmi della terra e della natura. Sulla scena, Valeria Raimondi, parla con voce monotono, quasi cibernetica, asettica: “La scelta dell'impostazione vocale – ha dichiarato Enrico Castellani (fondatore della compagnia insieme a Valeria Raimondi) a TO® – è stata il risultato di una precedente esperienza che avevamo avuto nel 2006 con lo spettacolo “Panopticon Frankenstein” nel quale aveva recitato una ragazza nera del carcere di Verona. Volevamo trovare un linguaggio adatto ad esprimere la realtà carceraria in modo non retorico; abbiamo dunque deciso di impostare una voce neutra, che permettesse al pubblico di scegliere da che parte stare, cosa accettare e cosa non accettare. Lo stesso è accaduto in “The end””.
La scenografia potrebbe sembrare un attacco a chi ha investito il proprio destino nella provvidenza divina, ma non è così. Il dramma è sembrato, invece, potentemente religioso, dove per religione si intenda quella atavica tendenza degli uomini ad avere, nel tempo, cura di ciò che li unisce. E la morte ci separa, ma ci unisce nel destino. Quel Cristo potrebbe essere anche un feticcio, un totem, è soltanto simbolo di un'entità divina che non basta più all'uomo per esorcizzare la paura della morte. Si confida nel dio bisturi, nel dio denaro, nel dio in camice bianco, la morte si allontana, non si pronuncia e non ci appartiene. Il monologo è invece un disperato bisogno di avvicinarsi alla fine con dignità, cercando di non perpetuare all'infinito il rito sacro dell'esistenza naturale. Anche il riferimento iniziale a Cecco Angiolieri è un chiaro riferimento alla volontà di un'adesione spontanea alla vita, facendosi beffa, come nella tradizione comico-realistica, dell'omertà quotidiana. Quasi commovente la scena finale. Buio. L'attrice esce di scena per poi rientrare nella penombra. Le luci si alzano e un bimbo si accoccola tra le braccia della donna. Lo spettacolo è finito. È una natività, dietro c'è il presepe ricordiamolo, il pubblico può decidere se vivere o morire.
© Riproduzione riservata