Riccardo Foglietta
Ci hanno raccontato una favola, ma ora è arrivato il momento di crescere, di capire che nessun bosco incantato ci chiama, che il principe azzurro è assolutamente inutile e che gli eroi della patria tornano sempre a casa dentro a una bara. Gli esiti dello studio sulle fiabe dei fratelli Grimm, portato avanti dalla compagnia Ricci/Forte, sono stati messi in scena ieri sera al Teatro Secci di Terni con lo spettacolo “Grimmless” nell’ambito del Fast. Sul palcoscenico la regia di Stefano Ricci ha dettato i tempi dei movimenti e delle battute di cinque attori, tre donne e due uomini calati nei panni dei giovani di oggi: Anna Gualdo, Valentina Beotti, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori e Anna Terio. La scenografia era composta da pochi elementi, utili allo svolgimento della trama ed alla rappresentazione generale dell’artificiosità e dell’infantilità della dimensione narrativa in cui quotidianamente siamo immersi: lampadari accesi avvolti nella plastica e destinati ad infrangersi al suolo insieme ai nostri sogni, una pistola giocattolo che con i suoi colpi preparava l’orecchio alla cronaca di scontri di guerra o con la polizia, bacchette da fata, una casa delle bambole utilizzata per la ricostruzione della scena di un delitto, uno stereo per la musica da ballare, maschere e neve finta. Gli attori hanno introdotto il pubblico presente allo spettacolo muovendosi fra le prime file e scattando foto come fossero ammiratori in attesa dei loro idoli televisivi, chiamando così in causa la televisione commerciale italiana ed insieme la suggestione che essa esercita sul popolo. Non a caso, poco dopo, la simulazione di un gioco a premi televisivo si intersecava con il resoconto di una morte clinica, mentre i dialoghi prendevano sempre più la forma e lo stile delle conversazioni tipiche dei social networks. A dare l’idea di come internet (e Facebook in particolare) sia il grande foglio interattivo su cui oggi viene scritta la storia contemporanea del Paese è stato anche l’utilizzo delle videoproiezioni, che in contemporanea alle battute recitate dai protagonisti traduceva il testo in inglese e lo incasellava nello spazio ristretto di una chat. Era però il testo stesso dello spettacolo a presentare un incastro di soliloqui fatti di intermittenze verbali, frasi sconnesse e comunicazioni interrotte. Uno spettatore scelto a caso fra il pubblico per il ruolo del principe azzurro poteva suggerire l’idea di quanto oggi la gente abbia bisogno di credere ad un facile successo, fatto solo di notorietà e visibilità; ma il povero principe è stato relegato per tutto il tempo della rappresentazione in un angolo, seduto, inutilizzato ed inutile. La finta e grottesca festa finale, fatta di neve artificiale, musica da ballare e tanto stordimento, è stata la cornice scenica all’interno della quale gli attori si sono letteralmente denudati, ricoprendo i propri corpi con una vernice dorata dalla doppia valenza simbolica, poiché il tentativo di trovare un sé individuale oggi si configura come un’idolatria della carne ma è pur vero che, forse, grattando la superficie è ancora possibile trovare un valore, una dignità, un essere umano.
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