Riccardo Foglietta
“A queste piagge Venga colui che d’esaltar con lode Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto È il gener nostro in cura All’amante natura. E la possanza Qui con giusta misura Anco estimar potrà dell’uman seme, Cui la dura nutrice, ov’ei men teme, Con lieve moto in un momento annulla”.
In parte, e può con moti Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto. Dipinte in queste rive Son dell’umana gente Le magnifiche sorti e progressive.” Ovvero: chi ha l'abitudine di esaltare con ottimismo la nostra condizione venga in queste campagne desolate (nella zona del Vesuvio) e constati in che misura il genere umano stia a cuore alla natura che ci ama. E qui potrà anche giudicare opportunamente la potenza del genere umano, che la natura, crudele nutrice, quando l'uomo meno se lo aspetta, con una scossa impercettibile in parte distrugge in un momento e può con scosse un po' più forti annientare del tutto. Su questi pendii sono rappresentate le sorti splendide e in continuo progresso dell'umanità. Il brano citato è un passo della poesia dal titolo “La ginestra o il fiore del deserto” di Giacomo Leopardi, fonte di ispirazione per l’allestimento dello spettacolo “Duramadre”, andato in scena ieri sera al Teatro Secci di Terni all’interno del Fast, il Festival internazionale della creazione contemporanea, e che ha portato sul palco oltre a Riccardo Spagnulo e Licia Lanera, fondatori della compagnia teatrale “Fibre Parallele”, anche Mino Decataldo, Marialuisa Longo e Simone Scibilia. La “Duramadre” del titolo, impersonata da Licia Lanera, ha una forte valenza simbolica: rappresenta la madre appunto, oltre che la Terra, la natura, l’origine del mondo, il grande macchinario che vede ognuno di noi come un semplice ingranaggio, rimpiazzabile e funzionale al mantenimento dell’intero sistema e che punisce ogni tentativo di sottrarsi all’atroce giostra del destino col dolore e la privazione. La natura racchiude però in sé un doppio significato, è il negativo ma è anche il positivo, che può essere raggiunto con l’amore, quando “…il sano aiuta l’infermo ed il folle diverte l’astuto…” come sembrano suggerirci i “Fibre Parallele”. Ecco allora che, con il bilanciamento metafisico ottenuto con la morte del negativo ed il suo trapasso nel positivo, il colore compare per la prima volta sulla scena, fino a quel momento dominata da un bianco e nero che ben figurava il senso di antico ed allo stesso tempo di permanente, di eterno che il soggetto della rappresentazione voleva comunicare. La “Duramadre”, posta fino ad allora letteralmente su di un piedistallo, in posizione di dominio rispetto ai figli, muore nel momento in cui la sua genìa si arrende ed alza le mani in segno di pace, rispondendo all’odio con l’amore e ricoprendo la salma con dei fiori colorati che preludono allo squarcio conclusivo della scena ed alla liberazione finale del colore.
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