Molti giovani tifernati non sanno neanche cosa sia, altri la vedono solo come un vecchio edificio in un evidente stato di degrado, altri ancora, probabilmente, non sanno nemmeno della sua esistenza. Davanti ai resti della ex Fornace Massetti, però, tutti gli abitanti di Città di Castello sono passati almeno una volta, senza comunque conoscere il “senso” di una struttura così fatiscente. Un’antica “ferita” della storia sul volto della periferia più recente.
L’area di oltre 2.000 mq in cui sorge il complesso si trova in pieno quartiere Riosecco, costeggiata, sul lato Sud-Est, da via dei Pini, via dei Pioppi e dalla più secondaria via delle Robinie, mentre sul lato Nord-Ovest scorre il torrente Vaschi e sono presenti diverse abitazioni.
L’edificio oggi diroccato, ben visibile dalla strada, è stato, fin da metà Ottocento, una fornace da calce, fondata da Luigi Massetti e gestita nel tempo dai vari membri della famiglia, da cui ha di fatto preso il nome. Inizialmente la fornace era di tipo ‘Lanuzzi’, dotata cioè di forni tradizionali interrati; poi nel secondo dopoguerra, grazie all’espansione del settore edilizia, attuò una riconversione al sistema ‘Hoffmann’, che permette un ciclo continuo di cottura. Un particolare che rende differente la Fornace Massetti dalle altre fornaci di tipo Hoffman è la posizione della ciminiera: al contrario delle strutture tradizionali, infatti, dove essa è posizionata al centro, nella “Massetti” si trova in posizione laterale rispetto al forno. Questo perché, nel momento di passaggio dal forno interrato Lanuzzi alla costruzione dei nuovi forni venne mantenuto il medesimo camino.
Nel ‘900, tra gli anni ’50 e ’60, quando venne ancora ampliata, la fornace contava 45 dipendenti e nel 1973 la fornace subì un’altra variazione societaria, divenendo Srl (Società a Responsabilità Limitata), ampliando anche l’oggetto sociale: alla produzione e commercio di laterizi per l’edilizia, infatti, si affiancò l’attività edile vera e propria, dalla costruzione di fabbricati alla loro vendita, acquisto o locazione.
Nel 1983, infine, dopo una crisi dovuta al calo della domanda, all’obsolescenza degli impianti e al progressivo esaurirsi della cava di argilla (limitrofa alla struttura), la produzione di laterizi venne abbandonata e la fornace cessò ogni attività.
Quello che rimane dello stabile, oggi, occupa una superficie di circa 2.300 mq, per una volumetria complessiva di oltre 13.000 mq. La fabbrica si suddivide in tre blocchi principali: il primo (“blocco A”), quello più antico, esistente sin dalla nascita del complesso, comprende l’edificio con i forni e la ciminiera alta circa 25 metri, ormai l’ultima rimasta a Città di Castello. La parte finale, verso Sud, è stata in parte demolita nel 2000, per allargare la strada in via dei Pini e quindi modificare la viabilità. Dietro il “blocco A” c’è l’essiccatoio (“blocco B”), edificio a due piani di più recente costruzione; il terzo blocco (“C”), perpendicolare agli altri due, è infine costituito dal terreno dove allora vi era una cava di argilla, e da più volumi, allora destinati alla lavorazione di quest’ultima.
Ad impedire una riqualificazione dell’area negli anni scorsi, quando effettivamente le risorse e la vitalità del mercato avrebbero potuto permetterlo, è stata un impasse venutasi a creare dopo l’entrata in vigore della Legge 3 agosto 1998, n. 267, recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico (deliberata in seguito all’alluvione e alle frane di Sarno e Quindici del maggio ’98), tra le quali, appunto, vi era il divieto di costruire nei pressi di qualsiasi corso d’acqua. Nel caso dell’ex Fornace, infatti, la vicinanza alla zona del seppur “innocuo” torrente Vaschi (l’ultima piena risale al 2005) ha impedito per anni l’edificabilità dell’area fino al 2014, quando il canale, per volere dell’Autorità di Bacino del Tevere e della Regione, è stato finalmente messo in sicurezza con vari interventi per ridurre ai minimi termini il rischio di esondazioni.
Nel 2009 l’architetto Lucia Fiorucci, per la sua tesi di laurea, presentò un personale progetto di riuso dell’intero complesso per trasformarlo in un Museo della Fornace e Centro permanente di arte ceramica
Al momento, come ci ha riferito il liquidatore della società proprietaria (sottoposta a “liquidazione volontaria” dagli stessi soci), esiste un progetto di recupero con un piano attuativo già approvato dal Comune: quest’ultimo prevede che il “blocco A”, debitamente ristrutturato, mantenendo la parte dei forni e la ciminiera, sia destinato ad uso commerciale e di servizi, con all’interno uno spazio museale dove verrebbero conservati anche gli antichi macchinari, e l’eventuale sede della società rionale Riosecco. Anche per l’immobile del “blocco B”, che manterrebbe l’attuale volumetria, è prevista una simile destinazione, che potrebbe vedere al suo interno servizi come l’ufficio postale o un ristorante. Il terreno del “blocco C”, invece, ora edificabile, potrebbe veder sorgere al suo interno edifici con funzione commerciale al piano terra e ad’uso abitativo ai piani superiori. Tra lo spazio edificabile e i due principali edifici dei blocchi A e B sorgerebbe addirittura una piazza e, poco fuori la vecchia fornace una rotonda con rampe d’accesso a parcheggi sotterranei. Ovviamente tutto questo, in un periodo di magra per l’edilizia, da anni rimane di difficile realizzazione, anche se, nell’ultimo periodo, sarebbero in corso alcune trattative per la cessione in toto o in parte del terreno.