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Esplosione Baiano, dopo 7 anni è ancora mistero su cosa l’abbia originata – Ipotesi sabotaggio

Jacopo Brugalossi

Da sette anni e mezzo si tenta di far piena luce sull’esplosione avvenuta nello stabilimento militare di Baiano di Spoleto nell’aprile del 2005. Eppure, dopo accurate indagini da parte delle forze dell’ordine, il rinvio a giudizio di 5 persone – 3 militari e 2 civili, tutte all’epoca impegnate a vario titolo nello stabilimento – e la perizia prodotta dai consulenti tecnici incaricati dalla procura di ricostruire i fatti, sembra ancora impossibile stabilire come e per colpa di chi si sia originata la deflagrazione che innescò la tragedia. La testimonianza resa oggi in tribunale dall’ammiraglio Roberto Vassale – che redasse la perizia tecnica insieme al dottor Cabrino e al professor Bacci – è stata senz’altro utile a ricostruire la dinamica delle esplosioni, ma non ha fornito alcuna certezza su cosa, o chi, possa averle originate.

Materiale non identificato – Due sembrano essere le cose certe: la miscela di ritardo contenuta nei 3 fustini riposti nel localino 10 – stanza in cui tutto ebbe inizio – non era esplosiva, ma semplicemente infiammabile. In secondo luogo, il cratere di un metro trovato accanto al muro che separava la stanza dalla Riservetta 73 (dove erano stipate le bombe) doveva per forza essere stato causato da materiale esplosivo; non sarebbe bastata la combustione dei fustini a generarlo. Quale fosse questo materiale, l’ammiraglio Vassale non è stato in gradi di dirlo, poiché nessuna traccia è stata trovata nei sopralluoghi successivi all’incidente. Ma, a sostegno della sua tesi, c’è il ritrovamento dei fustini incriminati, due dei quali quasi integri, mentre un terzo evidentemente bruciato.

Ipotesi sabotaggio – Il consulente tecnico non ha escluso che il materiale non identificato possa essere esploso da solo – forse per la scissione dei componenti combustibili da quelli comburenti – ma allo stesso tempo ha insinuato l’ipotesi dell’intervento umano. Sarebbe dunque possibile che qualcuno sia entrato nel localino e con una miccia abbia appiccato il fuoco ad un fustino, il quale bruciando avrebbe poi innescato l’esplosione del materiale “misterioso”. Quel qualcuno, ad ogni modo, avrebbe dovuto essere in possesso delle chiavi della stanza, visto che la porta era stata trovata chiusa al primo sopralluogo.

Muro non idoneo – Qualche altro elemento utile a far luce sulle responsabilità della tragedia è emerso grazie alle domande che il giudice Daniela Caramico D’Auria e il P.M. Mara Pucci hanno rivolto all’ammiraglio. In primo luogo, ha sottolineato quest’ultimo, non sarebbe assolutamente compatibile la presenza nello stesso locale, e a pochi metri di distanza, di materiale esplosivo e fusti di miscela infiammabile. In secondo luogo, su questo Vassale ha concordato con il dottor Cabrino – già escusso qualche settimana fa, – il muro che separava il localino dalla riservetta e che si frantumò addosso al primo gruppo di bombe a mano facendole deflagrare, non era abbastanza spesso e resistente.

Sismografi non sbagliarono – Nel controinterrogatorio del teste da parte dei legali difensori degli imputati non sono emerse novità di rilievo. A domanda precisa, l’ammiraglio Vassale ha negato con decisione che i sismografi potessero aver riportato, anziché le linee delle 4 esplosioni, quelle di un altro fenomeno, ad esempio una lieve scossa di terremoto. In quel caso, infatti, la curva sarebbe stata completamente differente. Il processo proseguirà ora con l’escussione del professor Bacci, ultimo consulente tecnico nominato dalla procura, la cui deposizione è prevista per il giorno 12 dicembre.

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