Spoleto ha punito i big della politica locale, specie di vecchio stampo, con un risultato elettorale che non lascia scampo a nessuno di loro.
Ma anche a partiti, movimenti e buona parte di liste civiche che, al di là del colore, escono a pezzi da quest’ultima competizione: anche quel Pd che ieri, nonostante il deludente 13% (era il 20,62% al primo turno delle elezioni 2018), rivendicava non si sa bene quale successo e un primo posto tra i competitor ottenuto con uno scarto irrisorio rispetto a liste nate appena due mesi fa (leggasi Spoleto2030 e il giovane Diego Catanossi capace di una impresa senza precedenti).
Spoleto dunque aveva capito e da tempo andava denunciando un certo modo di fare politica: solo i responsabili di questo sfacelo amministrativo, con la trave ben ficcata tra gli occhi, continuavano a cantare un’altra canzone, a sparare supercazzole che neanche all’asilo nido avrebbero trovato sponda. E ha così premiato, più precisamente voluto rinnovare fiducia solo a chi si è posto in modo umile davanti all’elettorato, rinunciando alla comunicazione aggressiva e ad annunci di progetti faraonici, quando non vere e proprie bufale senza un minimo di credibilità (alias coperture finanziarie). Per chi è voluto andare a votare.
Perché l’altra Spoleto, quella del 42% che ha disertato il voto (e a cui si aggiunge un altro 5% di elettori che hanno preferito esprime la preferenza al solo sindaco) registrando uno storico record negativo, il peggiore di sempre, ha condannato senza rinvio la politica.
Di ciò queste colonne erano talmente sicure da non aver di proposito seguito gli eventi pubblici messi in piedi dai 7 candidati a sindaco, rinunciato persino a commentare certe campagna elettorali proprio per lasciare il più possibile liberi gli elettori delle proprie scelte.
Alla fine solo in 3 hanno potuto serenamente brindare al proprio risultato: Diego Catanossi (9,5% e 1.624 voti nell’urna), Sergio Grifoni per il centrodestra (25,3% con 4.312 voti) e Andrea Sisti (32,7% e 5.581 preferenze).
Tutti gli altri sono più intenti a leccarsi le ferite. Due in particolare, Giancarlo Cintioli e Maria Elena Bececco.
L’ex piddì, con tecniche comunicative che scimmiottavano quelle del minculpop, da almeno 5 mesi andava ripetendo il mantra “la gente è con me”, “in qualunque posto vado mi chiedono di scendere in campo”, “ho esperienza per sapere come mandar bene le cose” e via dicendo. Ecco, Spoleto lo ha clamorosamente sconfessato concedendogli poco più di 2mila voti, 2188 per la precisione. E pensare che un tempo Cintioli, quando era candidato al consiglio comunale, era in grado di riceverne da solo più di 600, addirittura più di 4mila per le regionali. Imbarazzanti i risultati di “Rinascere”, la lista dei bocciani (3,7%, 599 voti), o degli strateghi della comunicazione (si fa per dire) e “profondi conoscitori dei problemi della città” di DifendiAmo Spoleto (2,6% con appena 427 voti di cui un terzo portati da Laura Zampa, altra big di un tempo destinata a rimanere a casa).
Non hanno pagato neanche certi annunci: come la pioggia di denaro per lo sport o il ritorno, con patron Casali (che, schierandosi, si è ora chiuso un bel po’ di porte), della manifestazione Vini nel mondo: senza però spiegare chi avrebbe saldato i debiti lasciati sul terreno o coperto le spese per il nuovo evento ma, soprattutto, senza spiegare come mai il patron non ha più pensato di riproporla.
L’altra sconfitta è Maria Elena Bececco (11,4%, 1.951) che non riesce a far fare un solo passo avanti a Forza Italia (5,6%, era il 5,2% nel 2018), scavalcata per di più dall’altra lista che la sosteneva (Spoleto futura 6,1%). E pensare che, equamente divisi nei due movimenti, i fedelissimi dell’ex Giunta de Augustinis, avevano incitato alla grande corsa la docente di matematica, questi addirittura convinti (era appena il mese di marzo 2021) di avere “almeno l’80% dell’elettorato dalla propria parte“. Spazzati via tutti, come foglie al vento, dall’esito delle cabine elettorali che potrebbero riservare un solo scranno, alla Bececco appunto. Fuori quindi di sicuro gli ex assessori Flavoni e Zengoni (con preferenze non proprio degne di un fresco amministratore), fuori gli ex consiglieri Militoni, Cretoni (Sandro, negli ultimi giorni però alle prese con qualche acciacco fisico), Fagotto Fiorentini, Ugolini e, con ogni probabilità, anche la Montioni (poco meno di 200 preferenze per l’ex vice sindaco di Umberto De Augustinis).
E sì che F.I. schierava quale capolista un pezzo da 90, l’onorevole Giorgio Mulè, potente Sottosegretario della Difesa e portavoce del Cavalier Berlusconi alla Camera dei Deputati. L’ex direttore di Panorama ha voluto personalmente seguire la campagna della Bececco, da diventarne lo spin doctor: con iniziative che si sono rivelate dei veri autogol. Come l’annuncio dei prossimi lavori del Ponte delle Torri (in realtà ancora privi di fondi) o la strategia di far “firmare 10 delibere” alla candidata, tante sarebbero state le iniziative da attuare nei primi giorni di sindacatura. Una mossa di marketing politico copiata pari pari dal famoso “Contratto degli italiani” siglato dal Cav. a Porta a Porta ben 20 anni fa e che solo in quel caso diede i suoi frutti (il Paese attende però ancora il promesso “milione di posti di lavoro”). Perché lo stesso Berlusconi, replicando l’iniziativa alle politiche del 2018 (il “Patto di San Valentino”), aveva dovuto prendere atto che gli italiani, alle promesse così presentate, non credevano più. E, a guardare da queste parti, neanche gli spoletini. Che sia quindi giunta l’ora che il partito azzurro locale venga realmente gestito dal coordinatore regionale Andrea Romizi, senza ingerenze e sgambetti interni, l’unico in grado di risollevarne le sorti?
In casa Lega il senatore Stefano Lucidi prova a stemperare la delusione con un sommesso “era il dato che ci attendevamo”, ma quel 7,5% ottenuto da Paolo Imbriani mette nell’imbarazzo proprio i fazzoletti verdi, che passano dall’exploit del 18,5% del 2018 ad un misero 5,3%: 13,2 punti persi in appena 3 anni sono una percentuale impensabile. E pensare che il candidato ha potuto contare sulla visita, per ben 2 volte, del segretario Matteo Salvini ed in una occasione della governatrice Donatella Tesei (che aveva così rinunciato al ruolo di super partes, avendo boicottato le iniziative di Fd’I e FI).
Ben poco da dire per Rosario Murro (Popolo della famiglia) che si ferma allo 0,8% con appena 139 preferenze, neanche un condominio. Molti, ma molti meno di “quanti vanno a messa la domenica”, per dirla come il leader Mario Adinolfi che venerdì scorso, forse a corto di argomenti di interesse locale, si era appellato ai fedeli di Nostro Signore per qualche voto in più.
Dal quartier generale di Andrea Sisti tutti confermano che non ci saranno apparentamenti con nessuno, a cominciare proprio dalle liste di Cintioli. Potrebbe restare in piedi una alleanza non scritta con Spoleto2030, visto che Diego Catanossi (e il suo mentore Giacomo Leonelli) ha tenuto rapporti cordiali con il presidente mondiale degli agronomi, rinunciando al “matrimonio” solo dopo il fidanzamento con il M5S.
Si saprà invece solo stasera se anche Sergio Grifoni andrà dritto per la propria strada. Il candidato sindaco resta di questa posizione – e lo ha ribadito anche ieri sera nel corso di una lunga riunione con gli alleati – ma ha lasciato alla coalizione dire l’ultima parola, ovvero a Fd’I e a quella Alleanza civica che ha ottenuto un autorevole 10%.
Per la verità il partito della Meloni e quello di mister preferenze Gianmarco Profili una prima decisione l’hanno presa: nessun apparentamento con Cintioli, meno che meno con Maria Elena Bececco. Resta quindi sulla carta l’ipotesi di incontrare la Lega, alla quale verrebbero messi dei paletti: porte aperte ai ‘compagni’ che si sono spesi nella opposizione a de Augustinis, chiuse a chi ancora oggi risponde a certi personaggetti (per dirla alla Crozza) che Spoleto ha già da tempo bollato.
Ancora 12 ore per sciogliere questo nodo, poi la seconda e ultima tornata elettorale potrà iniziare. Per sapere chi amministrerà la città del Festival bisognerà attendere il prossimo 18 ottobre.
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