Nuovo braccio di ferro istituzionale tra Palazzo Donini e Palazzo Chigi, entrambi con gli attuali inquilini pronti a fare le valigie (salvo, ovviamente, ritorni post elettorali).
La Giunta regionale dell’Umbria ha infatti annunciato che ricorrerà alla Corte Costituzionale contro l’art.10 (commi 1 e 2) e l’art. 18 (commi 1 e 2) del cosiddetto Decreto Crescita, convertito in legge il 28 giugno scorso, in quanto ritenuti costituzionalmente illegittimi e lesivi delle attribuzioni della Regione.
Gli articoli impugnati dall’esecutivo riguardano rispettivamente la modifica alle disciplina degli eco-bonus ed eco-sisma e le norme in materia di semplificazione per la gestione del Fondo di garanzia per le Pmi. In particolare: l’art. 10 fissa le modalità attuative per ottenere i bonus in un’unica soluzione attraverso uno sconto in fattura di pari importo che viene anticipato dall’impresa che esegue i lavori. L’impresa potrà poi recuperare le somme anticipate sotto forma di credito d’imposta da utilizzare esclusivamente in compensazione in cinque quote annuali di pari importo. L’art. 18 va invece sopprimere la possibilità per artigiani, commercianti e piccole imprese di accedere a finanziamenti avvalendosi della controgaranzia dei confidi di categoria.
Entrambi gli articoli, così come segnalato anche dalle stesse organizzazioni di categoria (molto dura, nei giorni scorsi, era stata la posizione della Cna dell’Umbria con il direttore Roberto Giannangeli) rappresentano misure gravemente dannose per le imprese di piccole e medie dimensioni e per i lavoratori autonomi che spesso non hanno una capienza sufficiente per compensare i crediti d’imposta derivanti dallo sconto in fattura, a differenza dei grandi gruppi e delle multiutilities, né hanno facilità di accesso al credito. Da qui la decisione della Regione Umbria di ricorrere alla Corte Costituzionale.