Centotrentatre pagine nelle quali sono contenute le ragioni per cui i giudici Avenoso, Cenci e Volpe hanno ritenuto tutti gli imputati della “saga” familiare di Gubbio non colpevoli. Le motivazioni della sentenza sono arrivate ieri pomeriggio spiegando che quello presentato dalla procura era “un quadro accusatorio frammentario, contraddittorio, talora direttamente smentito, indebolito da plausibili spiegazioni alternative”.
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Un castello di accuse che si è quindi sgretolato, ed un movente che per i giudici era costituito “da un asserito insanabile ed aspro contrasto familiare-societario, nel contesto comunque di una non florida situazione della Franco Colaiacovo Gold spa che non ha trovato adeguati riscontri. Anzi – sottolinea un passaggio dei giudici – appare fortemente indebolito da avverse risultanze documentali e testimoniali”. Con attenzione, particolari e precisione è stata così spiegata l’innocenza di Franco, Paola, Francesca e Giuseppe Colaiacovo e con la loro quella di Pierpaolo Ligi, Massimo Ceccarelli e Gustavo Messina.
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Le motivazioni della sentenza Su di loro a vario titolo gravavano le accuse di calunnia e di estorsione, perchè, secondo gli inquirenti avevano cercato di costringere, mediante esposti anonimi e lettere minatorie, Carlo Colaiacovo a dimettersi da tutte le cariche che al momento rivestiva all’interno della società di famiglia.
La perquisizione del 2006 Accuse cadute quindi compresa quella derivata dalla nota perquisizione del 2006, della quale a lungo si è parlato nelle complesse fasi del processo. Secondo i giudici infatti quell’evento “non pare essere frutto di una delazione preordinata – come aveva sostenuto la pubblica accusa – ma la sua coincidenza con la riunione per il rinnovo delle cariche della Fondazione Cassa di Risparmio risulta essere del tutto casuale”. Ultimo capitolo quindi e parola fine per una vicenda familiare complessa che è passata alle cronache come la “Dynasty Colaiacovo”.