Di una cosa siamo sicuri per Spoleto61. I programmi di sala del Minotauro e quello di Piazza Duomo per Jeanne D’Arc au Bucher sono stati i migliori mai visti sino ad ora. Metaforico quello del Minotauro, lussuoso e ardente quello della Giovanna D’Arco, entrambe i prodotti hanno dato il segno di una particolare cura e attenzione del Festival per il pubblico.
Cura che nel caso del Minotauro si è dimostrata assoluta anche nella messa in scena dell’Opera. Ahinoi non altrettanto possiamo però dire per la Giovanna D’Arco firmata da Benoit Jacquot.
C’erano tutte le premesse del grande evento, e questo sin dal primo annuncio dell’esecuzione del lavoro prezioso e musicalmente di grandissimo livello di Arthur Honegger, su testo poetico di Paul Clodel. Una scelta coraggiosa che nel solco delle precedenti edizioni del concerto finale firmato Giorgio Ferrara, voleva proporre qualcosa che non fosse solo ascolto rilassato di grandi classici della musica. Da qui anche le annose polemiche su cosa sia adatto o meno per Piazza Duomo.
Siamo sempre stati convinti che spettasse a Ferrara la massima libertà di scelta artistica circa il programma del concerto finale e non ce ne siamo nemmeno mai pentiti.
Ciò che però stavolta non ha oggettivamente aiutato il direttore artistico è stata la messa in opera di questo importante pezzo della musica, che scritta nel 1935, possiamo definire moderna quanto lo sono state le musiche di Debussy, Stravinski e Ravel.
L’idea iniziale di un simile approccio al dramma storico della Giovanna D’Arco, venne alla famosa danzatrice, attrice e mecenate di origini ebree, Ida Rubinstein che ne propose appunto la realizzazione a Honegger e Claudel i quali in pochissimo tempo presentarono una bozza dell’opera. Prima di andare in scena definitivamente l’opera dovette però attendere il 1938, con qualche aggiustamento di forma.
Il successo fu subito enorme e ancora oggi le sue rappresentazioni pongono il pubblico davanti ad una scelta “diversa” dal solo ascolto. Un’opera, come riporta anche il libretto “lussuoso”, più simbolica che realistica e che tuttavia non ha rinunciato a precisi riferimenti storici, oscillando sempre tra passato e presente. Una opera breve che con la sua intensità mescola ruoli cantati a quelli recitati ed offre comunque il vero spirito del teatro medievale. Il libretto di Paul Claudel è costruito come un flashback, in cui Giovanna, già legata al palo del rogo, poco prima di morire ripensa alla sua vita e all’infanzia in Lorena.
Come se non bastasse, a creare il clima della grande attesa per il Due Mondi, c’è stato anche il ruolo principale di Giovanna, interpretato dal premio Oscar, Marion Cotillard. Battage pubblicitari e mediatici ne hanno fatto l’evento da non mancare a Spoleto, con contorno di “assalto al botteghino” (copyright del sindaco Umberto De Augustinis) e scene madri per chi aveva il biglietto e chi no. Visto da fuori, l’ambaradan scatenato intorno al concerto in piazza di Spoleto61, ha ricordato più l’accaparramento del biglietto per un concerto dei Rolling Stone che per quello di una seriosa e nobile opera moderna su un dramma medievale. Da bruciarsi in piazza, per solidarietà con Santa Giovanna.
Più volte si era parlato di grande produzione, di centinaia di persone presenti sul palco, di sorprese, insomma di una serie di riferimenti tra l’iperuranio e il Big Bang.
Ci siamo così approcciati all’ingresso in Piazza Duomo con una sorta di timidezza adolescenziale mista a disponibilità assoluta all’ascolto.
Sul palco, subito dopo le 21, inzia la lunga sfilata per l’ingresso dei componenti dell’orchestra e dei cori. L’Orchestra Giovanile Italiana, il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma e il Coro delle Voci Bianche della stessa Accademia. Solo di Orchestrali 80 elementi, mentre saranno 115 i componenti dei due cori. Uno schieramento imponente. Talmente tanto imponente che non appena saliti sul palco anche i cantanti e gli attori recitanti (altre 8 persone) è rimasto libero giusto il podio per il direttore d’orchestra Jeremie Rhorer e nulla più. L’impressione è che se qualcuno avesse tirato un sospirone tra gli orchestrali, da qualche parte tra i coristi sarebbero iniziati a saltare i bottoni della camicia.
Nessun particolare allestimento, a parte una curiosa gabbia di ferro a lato del palco.
Jeanne D’Arc au Boucher è composta di 11 scene ed un Prologo, aggiunto dagli autori nel 1944, e il valore musicale del Prologo lo si può capire solo ascoltandolo con attenzione, magari in una luogo di ispirazione, anche storica, come Piazza Duomo. Bellissimo e un inizio promettente.
Nella II^ scena, l’atteso ingresso in piazza di Santa Giovanna, dall’alto della scalinata, a dorso di un cavallo bianco. Una eterea e pallida Marion Cotillard infilata in quella che a tutti gli effetti avrebbe dovuto essere la tunica bianca con cui spesso si vestivano i destinati al rogo purificatore.
Che qualcosa non suonasse per il verso giusto lo si è capito da tre assistenti che avrebbero dovuto controllare il ‘ronzino’ (Remo il suo nome) nel caso di intemperanze. Per far concentrare l’attenzione sul total white di Giovanna, i tre erano inguainati in tute da mimo nere, come i famosi Gufi, il gruppo di cabaret milanese degli eroici Svampa, Patruno, Magni e Brivio, con il risultato che tutti guardavano i curiosi palafrenieri in attesa magari di uno scarto del cavallo Remo, per vedere l’effetto che fa. Bastava chiedere, e forse due pezzi di iuta legati alla bene e meglio avrebbero reso la cosa più credibile, medievale persino.
Se si parte da questo, si inizia allora a capire anche la freddezza di una parte del pubblico, che concentrato sugli schermi dove passava la traduzione del testo francese di Claudel (Il Prof. Claudio Strinati presente in piazza lo ha definito imperdonabile e logorroico) non ha nemmeno gustato a pieno la parte musicale. Chi era nella piazza invece ha potuto godere di una migliore resa fonica, ma che sulla scalinata ha avuto delle imperfezioni. Pubblico abbondantemente distratto anche dalla trovata scenica del rogo. La famosa gabbia a lato del palco era infatti un macchinismo teatrale che dotato di appositi ugelli aveva tra le intenzioni quella di riproporre la crudezza delle fiamme del rogo di Giovanna. Il risultato invece è stato che il rumore dell’alimentazione del trabiccolo unita alla meraviglia di larga parte del pubblico, che si è messo a scattare foto con i cellulari, ha rovinato completamente la fase drammatica delle scene di Jeanne D’Arc au Bucher. Senza contare che più che un rogo è parso di stare davanti al roveto ardente di biblica memoria
Un pò teatro un pò musica, di fatto poco meno di tutte e due le cose e una resa alla fine modesta ai danni della splendida musica. Ma non basta.
Mentre attori e cantanti hanno eseguito la loro parte in maniera assolutamente degna, e l’orchestra ed i cori sopratutto, sono stati elementi di “salvezza” di questo concerto di chiusura, qualche problema in più deve averlo avuto Marion Cotillard. Vogliamo aggiungere che la nostra impressione, di una voce eccessivamente aspra e a tratti quasi ingolata, come si usa dire per i cantanti, potrebbe essere frutto di una cattiva amplificazione che come accennato qualche problema deve averlo avuto.
Ma la sorpresa per questa strana vocalità, già dalle prime battute, non ci ha lasciati se non nella scena finale del rogo, quando l’attrice, premio Oscar, è sembrata aver ripreso le redini della sua impostazione vocale, quasi trasfigurandosi e dando prova di una grande interpretazione. Ci risulta difficile invece pensare che una simile vocalità sia solo una scelta stilistica precisa. Pensiamo più a caratteristiche naturali della Cotillard che su registri particolarmente drammatici e alti ha come uno schiacciamento, una perdita di tono.
Su tutto non ha certo giovato la fissità, per mancanza di spazio vitale, di tutti i protagonisti sul palco costretti a movimenti misurati e poco riconoscibili visto che quasi tutti erano perfettamente confondibili con gli orchestrali tranne la Cotillard. Ma noi siamo anziani e a furia di scrivere portiamo gli occhiali. Potremmo aver visto male.
Sfugge dunque il perchè di una regia, quella di Benoit Jacquot, che sembra aver fatto il minimo sindacale, e che poteva forse osare di più in termini di fruibilità. Qualcuno presente in Piazza e aduso agli spettacoli ha azzardato l’ipotesi di un maggiore fascino dell’opera se i cantanti, gli attori e la Cotillard si fossero trovati a lato del palco o addirittura sul terrazzo della cattedrale, proprio sopra agli orchestrali. Ma l’intenzione del regista era chiara sin dalle note autografe riportate nel libretto purpureo.
“L’occhio ascolta ( Paul Clodel), far si che si veda ciò che si ascolta. Evitare l’ìllustrazione. Evocare. Nessun colore se non quelli del fuoco. Pochi gesti: il tragico è immobile. Giovanna a cavallo così come viene raffigurata. Il coinvolgimento assoluto di Marion Cotillard. che recita quasi costantemente come se udisse delle voci. La Piazza, luogo drammatico, non più di turismo. La notte che scende, le luci, poche, che cercano e trovano quello che illuminano. Opera scenica di Claudel e Honegger, Jeanne d’Arc au Bucher non è un’ opera lirica. Piuttosto e la celebrazione dell’unione drammatica fra musica e poesia.”.
Messa così però, la scelta di Jacquot appare una inutile persecuzione domenicana, in stile grotowskiano (Jerzy Grotowski ideatore del Teatro Povero) ai danni di un pubblico che da qualche anno si sta abituando e fidando di concerti finali “diversi”. Una decisione poco chiara che forse ottiene l’effetto contrario di quello desiderato anche da Jacquot.
Un vero peccato, perchè la scelta del Festival e di Giorgio Ferrara, vogliamo ribadirlo, di proporre il grande oratorio di Honegger è stata sicuramente coraggiosa e tutta dentro il percorso intrapreso negli ultimi 4- 5 anni dalla direzione artistica.
Rimane indiscutibile il valore della partitura musicale assolutamente degna di essere rappresentata in Piazza Duomo, ma sopratutto diretta magnificamente dal giovane Jeremie Rhorer, un musicista di primissimo livello.
Ecco tutta la scheda dello spettacolo:
In Piazza Duomo erano presenti diverse personalità del mondo istituzionale e politico sia umbro che nazionale. Confermata già dalla mattina del 15 la presenza del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, era anche presente in piazza Duomo il Sottosegretario al Lavoro del governo Conte, Claudio Durigon, accompagnato dal Senatore Franco Zaffini.
Presente la Presidente della Regione Catiuscia Marini e la Presidente dell’Assemblea Legislativa, Donatella Porzi. Visti anche il Rettore dell’Università di Perugia, Franco Moriconi accompagnato dall’ex- rettore dell’Università per Stranieri, Giovanni Paciullo.
Molti i politici del territorio. In testa il sindaco Umberto De Augustinis accompagnato dalla moglie la Dott.ssa Emilia Bellina.
Presenti gli industriali Colaiacovo e tutti i presidenti delle fondazioni bancarie umbre con in testa l’Avv. Sergio Zinni per Fondazione CaRiSpoleto a fare le veci di padrone di casa.
Svelate anche le date della prossima edizione. Spoleto62 si terrà dal 28 giugno-14 luglio
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Foto: Festival Due Mondi