Dopo la prova, al Festival va in scena l’ossessione dei teatranti - Tuttoggi.info

Dopo la prova, al Festival va in scena l’ossessione dei teatranti

Carlo Ceraso

Dopo la prova, al Festival va in scena l’ossessione dei teatranti

Sul palco Pagliai, Kustermann e Di Stefano interpretano l’opera di Bergman per la regia di Salvo
Sab, 14/07/2018 - 11:29

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Dopo le prove mi trattengo volentieri sul palco; mi serve per riflettere…è nell’ora del crepuscolo che piomba il silenzio del grande teatro. E’ una voce fuori campo ad avviare la scena di Dopo la prova, forse l’opera introspettiva che meglio sintetizza il lavoro del grande cineasta svedese Ingmar Bergman,  spettacolo che debuttato ieri al Festival dei 2 Mondi per la regia di Daniele Salvo.

Sul palco due giganti come Ugo Pagliai e Manuela Kustermann, affiancati da una delle promesse del teatro italiano, Arianna Di Stefano, non ancora trentenne ma capace di interpretare il non facile ruolo di Anna, la figlia di Rakel (Kustermann) che il regista Henrik Vogler (Pagliai) fortissimamente vuole quale protagonista del “Sogno” di Strindberg.

Dopo una prova, appunto, Henrik sonnecchia sulla scena ormai deserta del Sogno quando Anna irrompe con una banale scusa pur di avere un contatto con il regista, per parlare della propria parte, recitazione ma anche per sedurlo. Sullo sfondo resta velato un altro palco, il teatro che Henrik ha vissuto nella sua lunga vita. Tra i vari manichini siede Rakel, defunta da anni, ma la cui presenza è ancora forte nella figlia (che la odia) e Henrik (che l’ha amata vedendola poi sposa del suo amico e padre di Anna).

Da questa dimensione onirica la donna, ormai in età matura, esce per affrontare il suo ex amante, mentre Anna si pone immobile dietro le quinte, quasi impietrita, con un orsacchiotto sulle gambe ad assistere alle scenate della madre, disposta a tutto pur di riaffermare la propria celebrità e rifuggire la decadenza del fisico, le rughe del volto su cui ormai anche il trucco non vuol sapere di rimanere. L’ossessione dei teatranti.

Un grande orologio senza lancette aiuta i protagonisti a viaggiare nei ricordi, a cercare di comprendere il presente, ad immaginare il futuro. Henrik desidera la giovane Anna, come ha avuto trent’anni prima sua madre, ma alla fine, dopo aver descritto minuziosamente cosa potrebbero vivere i due, preferisce “liberarla” e mandarla alle prove per una registrazione radiofonica. .

L’ambiente è quello che si vive dopo ogni prova, quando le magiche luci della scena tornano a spegnersi, riportando le coscienze dei teatranti alla dura realtà.

Il testo aiuta a capire emozioni e disperazioni dei protagonisti, speranze e fallimenti, gli amori competitivi e rissosi, lasciando nell’equivoco ciò che forse non conviene dire: Henrik è il padre di Anna? Anna ha assistito ai furibondi litigi della madre con l’amante regista? E’ solo un caso che il protagonista (Vogler) ha lo stesso cognome dell’illusionista de Il Volto?

Gli stessi confronti tra i protagonisti – e in questo Salvo ha dato gran prova, come vent’anni fa il genio Gabriele Lavia – sfiorano più volte il dramma (con Rakel che interpreta anche Antigone); a volte sembrano maledettamente reali, altre semplicemente dettati dalla fantasia, dal sogno che ognuno dei protagonisti vorrebbe vivere.

La sceneggiatura  è rigida come sentita da Bergman, maestro nello scavare le coscienze e le debolezze dei suoi protagonisti, ma il ritmo resta elevato da non distrarre neanche lo spettatore più restio a comprendere quale lavoro introspettivo ha compiuto il cineasta.

Applausi appena calorosi al termine. Chissà che la rappresentazione sia riuscita a scavare nella carne e nella coscienza anche del pubblico.

© Riproduzione riservata

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