Spoleto

“Donna Fabia”, Adriana Asti rende onore al poeta Carlo Porta

Un omaggio a Carlo Porta, poeta milanese vissuto a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’Ottocento – considerato il più autorevole in terra meneghina. Un omaggio a Milano e alla sua cultura. Questo è quello che “Donna Fabia” è riuscita a rendere nell’interpretazione di Adriana Asti, diretta da Marco Tullio Giordana.
Lo spettacolo che si è tenuto nell’ultimo week end del 61esimo Festival di Spoleto al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti si è sviluppato in tre parti:

1. La proiezione del cortometraggio

Nel film due sono i protagonisti, così come nella poesia. Donna Fabia (interpretata dalla Asti), nobile convinta che l’alto rango e i privilegi che ne conseguono siano diretta emanazione della volontà divina, impegnata in una conversazione a senso unico con don Sigismondo, interpretato da Andreapietro Anselmi.
Nel cortometraggio i protagonisti sono in costume d’epoca, così come l’ambientazione. A fare da set, una salotto di Palazzo Pecci a Roma.

2. La poesia sul palco

Terminata la proiezione, fa il suo ingresso in scena una Donna Fabia in abiti moderni. Adriana Asti, accompagnata ancora dalla sua spalla, ripete in un milanese molto più addomesticato e comprensibile lo stesso testo interpretato nel film.

Il significato del racconto si fa finalmente chiaro, anche se nella versione originale in un milanese stretto, antico e disseminato di termini francesi e austriaci, la sola appassionata interpretazione della asti era riuscita a rendere il colore dell’episodio.

3. Il regista e le domande del publico

Al termine della ‘traduzione’ recitata dalla Asti, sale sul palco anche il regista Marco Tullio Giordana e il rapporto di apre alla platea. Dopo aver spiegato l’importanza e il senso di questa interpretazione, ossia il tributo di riconoscimento a uno dei maggiori esponenti della letteratura lombarda e italiana, e i ringraziamenti alla produzione del Festival di Spoleto reso possibile grazie alla collaborazione di Federico Annicchiarico, Elisabetta Antico, Lina Cardone, Elena Chiappa, Pierpaolo De Mejo, Luigi Piccolo, Marta Rinaldi, Roberto Paglialunga, Salvatore Romeo, Francesca Livia Sartori, Sergio Rossi, Federico Sciarrini, Pietro Valsecchi, Mimmo Verdesca, l’attrice e il regista si sono resi disponibili alle domande del pubblico in platea.
Tanti gli interventi, soprattutto rivolti all’amata Adriana, che non si è sottratta alla curiosità dei suoi tanti ammiratori e ha confermato ancora una volta tutto il suo amore per l’arte e lo spettacolo.

“Il cinema e il teatro sono due cose differenti. Il film è ‘solitario’ ha bisogno di ambientazione. Il teatro invece è coinvolgente, stabilisce un rapporto con il pubblico, che è un grande piacere fisico” così racconta la Asti, rispondendo a chi le chiede il motivo del suo esordio: “Mi ha spinto solo la voglia di uscire di casa e non sono più tornata. Entrare nel mondo dello spettacolo è lasciare il mondo solito per uno insolito ed è la cosa più importante da fare nella vita”.


LA PREGHIERA (Offerta a Dio)

Donna Fabia Fabron de Fabrian l’eva settada al foeugh sabet passaa col pader Sigismond ex franzescan, che intrattant el ghe usava la bontaa (intrattanta, s’intend, che el ris coseva) de scoltagh sto discors che la faseva. Ora mai anche mì don Sigismond convengo appien nella di lei paura che sia prossima assai la fin del mond, chè vedo cose di una tal natura, d’una natura tal, che non ponn dars che in un mondo assai prossim a disfars. Congiur, stupri, rapinn, gent contro gent, fellonii, uccision de Princip Regg, violenz, avanii, sovvertiment de troni e de moral, beffe, motegg contro il culto, e perfin contro i natal del primm Cardin dell’ordine social. Questi, don Sigismond, se non son segni del complemento della profezia, non lascian certament d’esser li indegni frutti dell’attual filosofia; frutti di cui, pur tropp, ebbi a ingoiar tutto l’amaro, come or vò a narrar. Essendo ieri venerdì de marz fui tratta dalla mia divozion a Sant Cels, e vi andiedi con quell sfarz che si adice alla nostra condizion; il mio copé con l’armi, e i lavorin tanto al domestich quanto al vetturin. Tutte le porte e i corridoi davanti al tempio eren pien cepp d’una faragin de gent che va, che vien, de mendicanti, de mercadanti de librett, de immagin, in guisa che, con tanto furugozz, agio non v’era a scender dai carrozz. L’imbarazz era tal che in quella appunt ch’ero già quasi con un piede abbass, me urtoron contro un pret sì sporch, si unt ch’io, per schivarlo e ritirar el pass, diedi nel legno un sculaccion si grand che mi stramazzò in terra di rimand. Come me rimaness in un frangent di questa fatta è facil da suppôr: e donna e damma in mezz a tanta gent nel decor compromessa e nel pudôr è più che cert che se non persi i sens!

Donna Fabia Fabroni di Fabriano era seduta accanto al fuoco sabato passato col padre Sigismondo, un ex francescano, che nel frattempo le usava la bontà (nel frattempo s’intende che il riso cuoceva) di ascoltare questo discorso che lei faceva. Ormai anch’io, don Sigismondo, condivido pienamente la sua paura che sia vicina la fine del mondo, perché vedo cose di una tal natura, di una natura tale che possono esserci soltanto in un mondo molto prossimo a disfarsi. Congiure, stupri, rapine, persone contro persone, tradimenti, uccisioni di principi ereditari, violenze, angherie, sovvertimenti di troni e di morale, beffe, motteggi contro il culto e perfino contro i natali del primo Cardine dell’ordine sociale. Questi, don Sigismondo, se non son segni del compimento della profezia, non mancano certamente d’essere gli indegni frutti dell’attuale filosofia *; frutti di cui, purtroppo ebbi a ingoiare tutto l’amaro, come ora le racconto. Essendo ieri venerdì di marzo fui spinta dalla mia devozione a San Celso e vi andai con quello sfarzo che si addice alla nostra condizione; il mio coupé con lo stemma e gli alamari tanto al domestico quanto al cocchiere. Tutte le porte e i corridoi davanti al tempio erano pieni zeppi d’una farragine di gente che va, che viene, di mendicanti, di venditori di libretti, d’immagini, per cui con tutto quel trambusto non era agevole scendere dalle carrozze. L’imbarazzo era tale che mentre ero appunto già quasi con un piede a terra, mi spinsero contro un prete così sporco, così unto che io, per schivarlo e fare un passo indietro, andai a sbattere col sedere contro il legno tanto forte che stramazzai a terra di rimando. Come sia rimasta in una situazione di questo genere è facile supporre: e donna e dama in mezzo a tanta gente compromessa nel decoro e nel pudore, fu don del ciel che mi guardà propens. E tanto più che appena sòrta in piè sentii da tutt i band quej mascalzoni a ciuffolarmì dietro il va via vè! Risa sconc, improperi, atti buffoni, quasi foss donna a lor egual in rango, cittadina… merciaja… o simil fango. Ma, come dissi, quel ciel stess che in cura m’ebbe mai sempre fino dalla culla, non lasciò pure in questa congiuntura de protegerm ad onta del mio nulla, e nel cuor m’inspirò tanta costanza quant c’en voleva in simil circostanza. Fatta maggior de mi, subit impongo al mio Anselm ch’el tacess, e el me seguiss, rompo la calca, passo in chiesa, giongo a’ piedi dell’altar del Crocifiss, me umilio, me raccolgh, poi a memoria fò al mio Signor questa giaculatoria: Mio caro buon Gesù, che per decreto dell’infallibil vostra volontà m’avete fatta nascere nel ceto distinto della prima nobiltà, mentre poteva a un minim cenno vostro nascer plebea, un verme vile, un mostro: io vi ringrazio che d’un sì gran bene abbiev ricolma l’umil mia persona, tant più che essend le gerarchie terrene simbol di quelle che vi fan corona godo così di un grad ch’è riflession del grad di Troni e di Dominazion. Questo favor lunge dall’esaltarm, ome accadrebbe in un cervell leggier, non serve in cambi che a ramemorarm la gratitudin mia ed il dover di seguirvi e imitarvi, specialment nella clemenza con i delinquent. Quindi in vantaggio di costor anch’io v’offro quei preghi, che avii faa voi stess§ per i vostri nimici al Padre Iddio: Ah sì abbiate pietà dei lor eccess, imperciocchè ritengh che mi offendesser senza conoscer cosa si facesser. Possa st’umile mia rassegnazion congiuntament ai merit infinitt della vostra acerbissima passion espiar le lor colpe, i lor delitt, condurli al ben, salvar l’anima mia, è più che certo che se non persi i sensi fu grazia del cielo che mi guardò benevolo. E tanto più che appena alzata in piedi sentii da tutte le parti quei mascalzoni zufolarmi dietro il va via vé! Risa sconce, improperi, atti buffoneschi quasi fossi donna nel rango uguale a loro, cittadina… merciaia… o simile fango. Ma, come dissi, quel cielo stesso che in cura mi ebbe sempre sin dalla culla, non tralasciò neppure in questa congiuntura di proteggermi ad onta del mio esser nulla, e nel cuore m’ispirò tanta costanza quanta ce ne voleva in quella circostanza. Appellandomi a tutte le mie forze, subito ordino al mio Anselmo di tacere e di seguirmi, rompo la calca, entro in chiesa, giungo ai piedi dell’altare del Crocifisso, mi umilio, mi raccolgo in meditazione, poi a memoria faccio al Signore questa giaculatoria. “Mio caro buon Gesù, che per decreto dell’infallibile vostra volontà mi avete fatta nascere nel ceto distinto della prima nobiltà, mentre potevo, ad un minimo cenno vostro, nascere plebea, un verme vile, un mostro; io vi ringrazio che d’un così gran bene abbiate ricolma l’umile mia persona, tanto più che, essendo le gerarchie terrene simbolo di quelle che vi fanno corona, godo così di un grado che è riflesso del grado dei Troni* e delle Dominazioni*. Questo favore lungi dall’esaltarmi, come avverrebbe in un cervello leggero, non serve in cambio che a ricordarmi la gratitudine mia e il dovere di seguirvi e imitarvi, specialmente nella clemenza con i delinquenti. Quindi in vantaggio di costoro anch’io vi offro quelle preghiere che avete fatto voi stesso per i vostri nemici al padre Iddio. Ah, sì, abbiate pietà dei loro eccessi, poiché ritengo che mi offendessero senza sapere che cosa mi facessero. Possa quest’umile mia rassegnazione, glorificarmi in cielo, e così via. Volendo poi accompagnar col fatt le parole, onde avesser maggior pes, e combinare con un po’ d’eclatt la mortificazíon di chi m’ha offes e l’esempio alle damme da seguir ne’ contingenti prossimi avvenir, sòrto a un tratt dalla chiesa, e a quej pezzent rivolgendem in ton de confidenza, Quanti siete, domando, buona gent?… Siamo ventun, rispondon, Eccellenza! Caspita! molti, replico,… Ventun?… Non serve: Anselm?… Degh on quattrin per un. Chì tas la Damma, e chì Don Sigismond pien come on oeuv de zel de religion, scoldaa dal son di forzellinn, di tond, l’eva lì per sfodragh on’orazion, che se Anselm no interromp con la suppera vattel a catta che borlanda l’era! ! congiuntamente ai meriti infiniti della vostra acerbissima passione, espiare le loro colpe, i loro delitti, condurli al bene, salvare l’anima mia, glorificarmi in cielo, e così sia.” Volendo accompagnare con un fatto concreto le parole, in modo che avessero maggiore peso, e combinare con un po’ di eclat* la mortificazione di chi mi ha offeso e l’esempio alle dame da seguire nei contingenti prossimi avvenire, esco d’improvviso dalla Chiesa, e a quei pezzenti, rivolgendomi in tono di confidenza, Quanti siete, domando, buona gente?… Siamo ventuno, rispondono, Eccellenza. Caspita! Molti, replico, Ventuno? Non importa. Anselmo, dategli un quattrino per uno. Qui tace la dama e qui non Sigismondo, pieno come un uovo di zelo di religione, scaldato dal suono delle forchette, dei piatti, era lì per sfoderarle un’orazione, che, se Anselmo non avesse interrotto con la zuppiera, vattelapesca che sproloquio sarebbe stato!