Con la Domenica delle Palme la Chiesa ha avviato la Settimana Santa nella quale si celebrano gli eventi di fede correlati agli ultimi giorni terreni di Gesù, comprendenti in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. I riti sono celebrati con solennità allo stesso modo in tutte le Chiese del mondo cristiano.
L’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, nella Domenica delle Palme ha presieduto più celebrazioni: il pomeriggio di sabato 8 aprile a Cannaiola di Trevi con i fidanzati che nell’anno pastorale 2016-2017 hanno partecipato o ancora stanno partecipando ai percorsi in preparazione al matrimonio cristiano; domenica 9 aprile, invece, il Presule ha ricordato l’ingresso di Gesù a Gerusalemme a dorso di un asino tra i terremotati ad Avendita di Cascia (9.00), nella Basilica Cattedrale di Spoleto (11.30) e ancora tra i terremotati a S. Pellegrino di Norcia (15.30). Prima di ogni celebrazione c’è stata la benedizione dei ramoscelli di ulivo.
«Ripercorrendo la passione di Cristo – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – noi vediamo come in uno specchio tutte le sofferenze dell’umanità. Ma non come si vedono in televisione: lo schermo è uno specchio che riflette l’orrore del mondo, ma è indifferente. Lo schermo non soffre, non sa amare; è un vetro freddo. E lascia l’uomo solo nella sua solitudine. Quando guardiamo Cristo, invece, non vediamo uno specchio freddo che ci rinvia la nostra sofferenza. Vediamo piuttosto uno specchio fatto di compassione vivente e di amore; perché Cristo ha preso di sé ciò che noi non possiamo sopportare: l’ingiustizia, il male assurdo, l’irresponsabilità, la vigliaccheria, le situazioni inestricabili, il non-senso, anche la morte».
E a Spoleto, in una Cattedrale gremita di fedeli, il pensiero dell’Arcivescovo è andato agli ultimi suicidi di giovani che hanno sconvolto la città: «Guardando a Gesù sofferente noi riconosciamo nel suo il volto sfigurato dei nostri ragazzi che si buttano dal Ponte delle Torri in una muta richiesta di aiuto, sopraffatti dalla solitudine e dalla disperazione. E vediamo tutti quegli altri che, anche qui nella nostra città, in famiglia, nella scuola e nei Convitti, smarriti e disorientati, cercano spesso consolazione e risposta alle loro attese nell’alcool e nella droga. Sono ragazzi che in mille modi, direttamente o indirettamente, domandano e aspettano accoglienza ed ascolto. Perché nell’età in cui si smette di essere bambini, magari senza consapevolezza, cercano qualcuno che abbia a cuore il loro destino, un volto che li sfidi a capire di cosa hanno veramente bisogno, che li aiuti a trovare un senso forte alla vita».
Poi, mons. Boccardo ha condiviso con i presenti una lettera che gli ha inviato una ragazza di un Istituto Superiore di Spoleto: «Ho paura…Il suicidio nella mia classe è un taboo; è più importante terminare i programmi e riempirci la testa di matematica e di italiano, mentre nessuno ci guarda e ci chiede “come stai?”. Non c’è mai posto per ciò che si pensa, sei importante solo se sei il migliore, ma se stai soffrendo diventi un diverso, un problema da allontanare nella nostra vita “priva di ostacoli e difficoltà”. A me non interessa avere una bella pagella e poi scoprire che non mi importa di sapere come sta il mio compagno di banco che ieri c’era e oggi non c’è più… Mi hanno detto che è normale… Ho pianto e urlato ma nessuno ugualmente mi ha ascoltato… Perché non ci insegnano a guardare negli occhi qualcuno e a capire veramente come si sente? Perché non ci insegnano a conoscerci invece di nasconderci dietro questa facciata di moralismo, dove tutti sanno tutto ma forse non si conoscono… La vita non è rosa e fiori, ma nessuno ci ha mai insegnato che esistono delle difficoltà e c’è una grande differenza fra “superiamole insieme” e “non preoccuparti, ci penso io!”».
«È un grido disperato di aiuto – ha detto il Presule in una Cattedrale dove la commozione era ben percepibile nei presenti – che scuote le nostre coscienze e sollecita la nostra responsabilità. Queste parole non possono lasciarci indifferenti e ci richiedono di mettere in atto tutte le nostre capacità e la nostra fantasia per accompagnare per mano i nostri figli nel cammino della vita. La grande opera dell’educazione non è delegabile, e tutti dobbiamo assumerci la nostra parte. Nasce da queste considerazioni l’appello che rivolgo a tutti – famiglie, scuola, educatori, società civile e comunità cristiana – per realizzare insieme una autentica “alleanza educativa”, che non si configura come una scelta fra tante, ma come la scelta inderogabile da compiere e attuare con perseveranza: ne va del presente e del futuro del nostro mondo; ne va soprattutto delle speranze e della vita delle giovani generazioni. Alle quali dobbiamo insegnare a credere che, come canta un’artista contemporanea (Fiorella Mannoia, ndr), «per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta; per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta. E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta. Che sia benedetta…».