Categorie: Città di Castello Cronaca

Dieci anni dall'omicidio della piccola Maria Geusa / L'orrore a Città di Castello

Sara Minciaroni

Dieci anni. Tanto è trascorso dal 5 aprile del 2004, quando, la piccola Maria Geusa, 2 anni e 7 mesi di vita, arrivò all'ospedale di Città di Castello. Gli infermieri capirono subito che la situazione era disperata. Ma le lesioni che quel corpicino presentava, sia interne, sia esterne, fecero sorgere sospetti. I medici informarono i carabinieri. Dopo alcune ore la piccola morì. Il suo organismo non resse alle ferite e ai due arresti cardiaci. Non ci volle molto a scoprire che c'era stata violenza. E Giorni fu arrestato. Il cuoricino aveva smesso di battere, per quella piccola non c'era più nulla da fare. Ma immediate si aprirono anche le indagini troppi i segni di violenza sulla bambina. Niente che potesse far pensare ad una semplice cauduta. E il peggio è emerso rapidamente. La piccola Maria era rimasta vittima delle violenze di Giorgio Giorni, imprenditore edile di Sansepolcro, datore di lavoro del suo papà e amico della mamma, poi condannato all'ergastolo in via definitiva.

L'accusa non ha mai avuto dubbi nella sua ricostruzione dei fatti, la madre quel giorno affidò Maria all'imprenditore, del quale si era innamorata, che poi ha seviziato la bambina nel suo appartamento di Città di Castello (in preda a un raptus e senza volerla uccidere ha sostenuto l'uomo, che ha sempre negato la violenza sessuale, asserendo anche di aver lasciato la bambina per 45 minuti con un altro uomo, cicostanza mai provata). Qualche ora dopo fu lo stesso Giorni a portare la piccola all'ospedale, dicendo che la bambina aveva vomitato e si era sentita male, e poi più tardi sostenendo che si era fatta male accidentalmente, durante una caduta. Venne invece subito arrestato dai carabinieri.

Anche la mamma di Maria, si trova ora in carcere e sta scontando 12 anni di reclusione (sentenza di 15 anni, di cui tre condonati) per l'omicidio – in concorso – di sua figlia. Condannata in tutti e tre i gradi di giudizio. Tiziana Deserto, casalinga, aveva conosciuto il piastrellista Massimo Geusa, poco più anziano di lei, nativo di Erchie. Un carattere difficile quello di Tiziana. Aveva rifiutato che il marito lavorasse nell'azienda del padre, a Latiano, e dopo avere conosciuto l'estate prima Giorni venuto in vacanza nel Brindisino, si trasferirono in provincia di Perugia perché l'imprenditore promise lavoro a Massimo. E in effetti glielo diede. Ma si prese fin troppa cura della donna che, stando a quanto da lei affermato all'epoca, gli affidò la bambina per farli familiarizzare in vista della separazione dal marito e l'inizio della convivenza con Giorni.

La ricostruzione del giorno del delitto:

07.30 – Giorgio Giorni telefona a Tiziana Deserto e si offre come baby sitter di sua figlia Maria per quella mattina.

08.00 – L'uomo giunge a Capanne di San Giustino e prende con sé la piccola Maria con la scusa di portarla a fare un giro.

09.00 / 10.00 – È in questo lasso di tempo, tra le 9 e le 10, che la bambina sarebbe stata violentata e picchiata a sangue. Giorni dice di aver lasciato per 45 minuti la piccola con un altro uomo, forse nel suo pied-à-terre di Città di Castello. Poi quando la riprende la colpisce con calci e pugni “in preda a un raptus perché piangeva”.

09.30 – Giorni chiama due volte Tiziana e le dice di raggiungerli ai giardinetti.

11.00 – La donna incontra Giorni e la figlia al parco. Agli inquirenti spiega che vede la bambina dormire e non la sveglia per non farla piangere. Dopo 45 minuti lascia l'uomo e la bambina per andare a preparare il pranzo al marito.

13.10 – Giorni si presenta al pronto soccorso dicendo che la bambina ha vomitato, poi cambia versione e dice che si è fatta male cadendo.

13.30 – I medici avvertono la madre che dopo circa un'ora raggiunge l'ospedale.

Il dolore della comunità. “Ricordo ancora il senso di scoramento e la sorpresa”, dice oggi il sindaco, Luciano Bacchetta per una storia che era al di là di ogni immaginazione. Il senso di scoramento, di sorpresa, di stupore per una vicenda che sembrava non potesse riguardare Città di Castello. Nessuno era in grado di comprendere. E' una vicenda – ha spiegato ancora il sindaco – che non si dimentica”.