Il dialetto di Città di Castello? Deriva dal cileno! Ma anche dal francese e dal vietnamita. Parola dell’attore Michelangelo Pulci, che in queste ore sta spopolando sui social proprio con un video ironico e surreale sulle origini della lingua tifernate.
L’esilarante filmato è estratto del documentario sulla vita di Dino Marinelli – “Il Custode della Memoria” -, opera d’esordio della regista Elena Giogli la cui anteprima nazionale, sabato scorso (16 luglio), ha fatto registrare un eccezionale presenza di pubblico al cortile di Santa Cecilia.
Nel docu-film, che si snoda dagli anni ‘40 fino ai giorni nostri, si racconta la vita di Dino Marinelli, personaggio poliedrico ed emblema della “castellanità”, custode e guida della Pinacoteca di Città di Castello ma anche scrittore, poeta e anima popolare della memoria e della cultura cittadina. Tra i tanti contributi, interviste e aneddoti c’è anche quello di Michelangelo Pulci, il noto comico nato proprio nel capoluogo tifernate, che da anni va in giro per l’Italia e per il mondo a “trattare” in modo spiritoso (ma non del tutto) il “particolare” dialetto della città di Burri.
Il filmato del vulcanico artista parte proprio dal fantomatico ritrovamento di un manoscritto di Marinelli, che conterrebbe tutti i segreti della lingua tifernate. Impersonando un professore laureato all’Università di Selci, Pulci dimostra come il “castelano”, nei secoli, abbia subito varie influenze straniere, a partire dal francese: “Ma che vu’?”, “Ma che fe’?”, “Ma ‘ndu ve’?” e ancora “melasò” e “melagiò” (lassù e laggiù), fino all’aggettivo “migno” (piccolo) che sarebbe stato ripreso proprio da…“mignon”.
Ma non è finita qui, perché secondo il “professore” il dialetto tifernate sarebbe stato influenzato anche dal vietnamita – “E gni ci vole gi’ a stiré!” (Non vuole andare a stirare da lei) – e dal cileno – “Io ci l’hoe” (Io ce l’ho) oppure “Noi…ci l’emo”. Uno studio di Oxford – aggiunge – avrebbe anche scoperto che gli abitanti di Città di Castello sono dotati di una fonazione alterata, forse a causa di un elemento proteico contenuto nell’alimentazione a base di…ciaccia fritta! E sarebbe quell’enzima che fa variare la (famosissima) “A” di “cane” in “chene”, o la “A” di “pane” in “pene”.
“Io il castelano lu studio col libro de Marinelli” conclude Pulci che, in veste di comandante dell’aereporto di Selci, non riesce ancora a dire lo scioglilingua “33 castelani entrarono a Fontecchio tutti e 33 cu la scompezza…”.