Demolite gli abusi del Circolo sportivo: non lascia via di fuga ad altre interpretazioni, al netto di un eventuale, ulteriore ricorso (al Consiglio di Stato), la sentenza del Tar dell’Umbria chiamata ancora una volta a decidere su alcuni manufatti e prefabbricati della “Associazione dilettantistica Circolo tennis Montarello” di Spoleto.
Una vicenda che si protrae da più di dodici anni – 5 le amministrazioni che sono dovuti intervenire nel tempo (dal Brunini II a Sisti) – e che vede in sintesi lo stesso tribunale amministrativo tornare sulla questione.
Il deposito del dispositivo risale allo scorso 7 aprile (il Collegio è composto dal presidente Raffaele Potenza, Davide De Grazia estensore, Enrico Mattei Consigliere) ma se ne è avuta notizia solo in queste ore.
Sono gli stessi giudici amministrativi a ripercorrere i fatti che interessano il sito sportivo. Già sette anni fa, con la sentenza 346/2016, era stato accertato che alcune opere erano sprovviste del permesso a costruire, gravate da vincolo ambientale e paesaggistico oltre che da vincolo idrogeologico per la prossimità del torrente Marroggia e sulle aree golenali comprese tra lo stesso e il torrente Tessino. Due torrenti che anche nel recente passato hanno registrato qualche episodio di innalzamento delle acque arrivate fin quasi agli argini (come si può vedere in video pubblicati su Youtube, Vimeo e Facebook).
La storia degli abusi
E’ il marzo 2011 quando l’Agenzia del Demanio segnala a Regione, Provincia e Comune di Spoleto la realizzazione abusiva di “fabbricati e impianti sportivi” presso il circolo Montarello.
Il Municipio affida al Dipartimento di ingegneria civile dell’UniPg uno studio che conferma come la zona sia “a rischio idraulico molto elevato” e nel corso della relativa Conferenza di servizi comunica alla società sportiva (e ad altri soggetti) che non avrebbe ottenuto il condono edilizio per quei manufatti che “si trovano completamente all’interno dell’alveo dei torrenti interessati”.
Si arriva al febbraio 2014 quando vengono definitivamente individuati per la demolizione 2 portici ( di 30 e 23 mq), 2 manufatti in lamiera di 10 e 15 mq ca.), 1 tettoia in legno di 24 mq), 3 prefabbricati (di 15, 13 e 4 mq), 1 campo da tennis e 1 da calcetto in manto sintetico. Risultano invece conformi un caseggiato di 91 mq (spogliatoio, bar e magazzino) e 2 campi da tennis in terra rossa.
Ad aprile 2014 viene firmata l’ordinanza di demolizione, impugnata dal Circolo che, durante lo svolgimento del processo, avanza istanza di permesso a costruire in sanatoria (negato dal municipio nell’aprile dell’anno seguente).
E si arriva all’aprile 2016 quando il Tar dichiara improcedibile il ricorso e conferma che gli abusi devono essere eliminati.
Dalle carte non si evince il motivo della mancata demolizione, forse perché il Presidente del circolo (siamo a fine novembre 2017) comunica di voler dar corso allo smantellamento degli abusi secondo un cronoprogramma articolato in due fasi. Ma a dicembre dell’anno dopo (2018) risultano demoliti solo la tettoria, i 3 prefabbricati e il campo da calcetto. In piedi restano altre 5 opere ritenute abusive. A marzo 2019 parte il secondo ordine di demolizione su cui l’associazione presenta nuovo ricorso al Tar.
La sentenza bis sugli abusi
Nel rigettare il ricorso e condannare il Circolo Montarello alle spese legali in favore del Comune (1.500€ oltre oneri e accessori di legge), i giudici scrivono che il Tar già nel 2016 “aveva stabilito che le opere in questione, per caratteristiche e dimensioni, dovevano ritenersi sottoposte al regime del permesso a costruire in quanto suscettibili di arrecare una sensibile trasformazione del territorio, trattandosi di nuove opere con aumento di superficie utile coperta e destinate ad uso stabile e continuativo…che le opere sorgono in prossimità dell’alveo del torrente Marroggia e sulle aree golenali comprese tra i torrenti Marroggia e Tessino…”. Sentenza che “non è stata impugnata dal Circolo, il quale ha anzi prestato acquiescenza alle sue statuizioni attraverso la nota del suo presidente del 30.11.2017 con cui si comunicava l’intenzione di dare esecuzione allo smantellamento delle opere abusive”.
La parola, al netto di un eventuale ricorso al Consiglio di Stato (di cui al momento non si ha notizia), passa ora di nuovo al Comune per l’esecuzione della sentenza
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