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Decreto taglia-province: da Perugia parte una proposta, firmata Guasticchi e Rasimelli. Il documento

di Marco Vinicio Guasticchi
e Giampiero Rasimelli (*)
“Recentemente sul Corriere della Sera uno dei più importanti costituzionalisti italiani, Valerio Onida, chiedeva un dibattito sul destino delle Province nel nostro sistema istituzionale meno segnato dalla retorica dell’antipolitica e più ispirato, invece, da una maggiore capacità di affrontare i problemi con razionalità e realismo. Quello che sta accadendo dopo la presentazione della manovra finanziaria del Governo che contiene la cosiddetta “sforbiciata” alle Province e ai Comuni italiani e’ l’ultimo atto di un vero e proprio attacco ai governi locali, all’idea del decentramento amministrativo e dell’autogoverno delle popolazioni contenuta nella Costituzione, condito dalla crociata contro i costi della politica che si identificherebbero con la presenza di un sistema di governo locale da azzerare progressivamente.
In questo attacco sospinto dalla destra e dal Ministro Tremonti si consuma un istanza di Federalismo sterilizzata in questi anni da un’ idea colbertiana di gestione dell’economia che ha unito il neocentralismo sfrenato del Ministro dell’economia e l’illusionismo Padano di Bossi. In questo delirio neocentralista non ha visto la luce nessuna riforma delle autonomie locali, nessuna riforma dello Stato, nessun rafforzamento federalista delle Regioni e degli enti locali ed è continuato invece un vecchio clientelismo, un sostegno al vecchio localismo, il proliferare di enti di tutti i tipi dal livello centrale a quello periferico.
Per questo è inaccettabile la manovra proposta dal Governo, che ancora una volta scarica sulle Regioni e gli enti locali i costi della sua incapacità, della sua inconcludenza, delle sue divisioni, che porta avanti un’ azione sconsiderata di indebolimento del governo locale che ha effetti diretti sulle possibilità di riattivare la crescita e sulla coesione del paese. E’ a questo che bisogna ribellarsi e sbaglia chi si fa portatore di una subalternità politica e culturale alla campagna demagogica sulle istituzioni del governo locale come fardello dei costi della politica. I costi reali della politica sono l’evasione fiscale come patto sociale su cui si fonda il credo berlusconiano, sono la corruzione che ancora dilaga nella gestione delle opere pubbliche favorendo i poteri criminali, sono la riduzione di una parte grande della classe media sul livello di povertà, il depauperamento del sistema formativo e della ricerca nel nostro paese ecc … Se si abbassa il livello di indignazione e si accetta la assurda crociata sui costi della politica individuati sugli enti locali ( che nella manovra pesano dallo 0.7 all’1.4 %) si sterilizza la possibilità della società italiana di reagire alla drammaticità del declino del governo della destra e all’attacco forsennato ai governi locali che sono stati una chiave determinante dello sviluppo e della qualità della vita e dei diritti nel nostro paese. Questo vale anche nel centro sinistra che non verrà aiutato da spinte demagogiche e populiste sempre presenti in qualche partito o raggruppamento. E vale per una grande forza come il PD che non può rispondere alla crisi della destra con tecnocraticismi ormai consunti né con un comportamento dei gruppi dirigenti in cui la mancanza di solidarietà e di combattività finisce per indebolire la lucidità nel percepire i pericoli per il paese e nell’individuare e selezionare le risposte immediate e più strategiche.
Tornando alla manovra, alle Province e ai Comuni “sforbiciati”. Intanto, al di là degli effetti immediati, è inaccettabile che su una tale materia si intrvenga per decreto, mentre è aperto un percorso di riforma. La riforma delle automie locali deve avvenire con un percorso ordinario e deve svilupparsi con un progetto, non sotto i colpi di maglio della manovra finanziaria.
I Comuni vanno ridotti, ma in Italia ve ne sono 7.500 sotto i 15.000 abitanti e sarà impossibile desertificare con un colpo di spugna le tante identità comunitarie che hanno fatto la storia secolare della nostra società. Le Province vanno ridotte, ma sono 20 anni che aumentano in numero e competenze ed è completamente irrealististico pensare ad un loro superamento senza aumentare costi e conflittualità territoriale, amministrativa e istituzionale su materie decisive per la vita delle nostre popolazioni. Le Regioni dovrebbero assolvere pienamente alla loro funzione legislativa e programmatoria e non essere prevaricate costantemente dallo Stato centrale e ridotte ad ente di servizio sul territorio. Al contrario di quanto sta avvenedo, l’efficienza dei governi locali dovrebbe essere ripensata proprio a partire dal contributo che possono dare alla crescita, allo sviluppo dei territori, costringendoli a misurarsi con la stagione difficile che stiamo vivendo, aumentandone il potenziale ceativo ed operativo.
La comunicazione alla comunità ternana per decreto (come è stato probabilmente in tanti altri casi) che questa non sussisterà più come entità provinciale nell’Umbria è qualcosa di inaccettabile, di fuorviante di fronte ai compiti che la crisi ci impone. Non è con un colpo di spugna che si otterrà un buon risultato dalla riorganizzazione delle Province. E credo che possiamo dire con certezza che con la ventilata abolizione della Provincia di Terni e magari (in un ottica generale di superamento delle Province in Italia o in Umbria) anche di quella di Perugia non si risolveranno e anzi aumenteranno considerevolmente i problemi di Terni e dell’Umbria, le difficoltà istituzionali e amministrative.
Ecco perché, seguendo lo schema del professor Onida, ci sentiamo di formulare una precisa proposta che riguarda l’assetto delle Province italiane.
1) Far avanzare rapidamente una riforma delle autonomie locali che disegni con precisione caratteristiche e competenze dei diversi enti.
2) Istituire come previsto in Costituzione le Città Metropolitane con conseguente abolizione delle Province che insistono in quelle aree.
3) Stabilire un parametro minimo (4/500.000 abitanti) che definisca l’entità provinciale e delegare alle Regioni il ridisegno territoriale delle stesse.
4) Stabilire che per il Molise non esiste una dimensione provinciale
5) Stabilire che per le Regioni tra 700.000 e un milione di abitanti (Umbria e Basilicata) saranno le Regioni a disegnare le entità provinciali che non potranno essere più di due.
6) Continuare il confronto proficuamente avviato tra Province e Regione in Umbria sulla riforma endoregionale e sulla rilettura delle competenze delegate dalla Regione alle Province in modo da ridefinire e rafforzare il tessuto istituzionale e amministrativo della nostra regione adeguandolo ai compiti sempre più difficili che la crisi ci propone.

Ecco, Istituzioni e forze politiche serie discutono entrando nel merito, proponendo, individuando soluzioni credibili e funzionali che possono costruire consenso e reale cambiamento, contribuendo ancora alla crescita del paese e delle nostre popolazioni.
La necessaria riorganizzazione e l’urgente adeguamento dello Stato in tutte le sue dimensioni non si possono fare scassando lo Stato medesimo. E’ ora di finirla con questa demagogia di destra e populista, con questa antipolitica (questa sì a basso costo!) che ha prodotto solo danni reali e nessuna vera riforma ! C’è bisogno di una forte risposta istituzionale e popolare a questa deriva della politica …. La buona politica del centro sinistra deve manifestarsi ora, con lotte progetti e idee coerenti”.

(*) Presidente Provincia id Perugia, Capogruppo Pd al Consiglio Provinciale di Perugia