Aveva una possibilità, una sola possibilità di salvare la sindacatura, ma Umberto De Augustinis, sindaco e magistrato di Cassazione seduto sullo scranno più alto di Spoleto dal giugno 2018, ha fatto di tutto per perdere anche quella, in una sorta di harakiri che ha visto il Pd sbattere definitivamente la porta.
Sarà perché “non è empatico” (copyright del presidente Sandro Cretoni), di sicuro neanche un discreto mediatore visto che anche alla riunione di oggi con i dem – che gli tendevano comunque una mano non fosse che per ascoltare quanto avesse da proporre – ha tentato, invano, di dettare la propria linea. Quasi come una partita di poker in cui il giocatore che ha solo una coppia di “7” tenta il bluff rilanciando.
L’incontro è durato poco più di un’ora. All’inizio era rimasto su toni più che cordiali.
Ma appena si è passati ad affrontare la questione della crisi di governo cittadino, gli animi si sono andati sempre più surriscaldando.
A guidare il Pd c’era il capogruppo Stefano Lisci con i consiglieri Marco Trippetti, Carla Erbaioli, Camilla Laureti e Daniela Tosti in rappresentanza del partito.
Dall’altra parte del tavolo, solo, il primo cittadino, che ha sottoposto agli interlocutori un paio di pagine di programma su cui intende proseguire la consigliatura.
Due pagine definite dai bene informati una sorta di programma elettorale, come quelli che si scrivono per conquistare voti: nessun progetto concreto, nessuna nuova iniziativa, nessun cronoprogramma. Lasciando di stucco anche coloro che invece temevano di trovarsi di fronte a un libro di sogni. Neanche quello.
Il piddì ha provato a ricordare che già al primo incontro, quello di gennaio, avevano posto quale condizione minima l’apertura ufficiale della crisi con le dimissioni del sindaco, l’azzeramento della giunta, a seguire una analisi di alcuni punti programmatici e solo allora decidere se apparentarsi.
Ma solo a sentire l’ipotesi di dimettersi, De Augustinis ha cominciato a perdere le staffe. Non ha escluso che la Giunta possa rassegnare le dimissioni, ma lui non ci pensa di sicuro.
Dunque va avanti, costi quel che costi.
Poi ha chiaramente detto che quelle due pagine rappresenteranno il cuore del discorso che terrà in Consiglio comunale il prossimo 11 marzo – giorno in cui si discuterà e voterà la mozione di sfiducia -, chi ci vorrà stare sarà il ben accetto.
Un po’ pochino per convincere i 15 che finora non hanno fatto un solo passo indietro, a parte qualche rara eccezione che a questo punto cade nel dimenticatoio.
Con il passare dei minuti le voci si sono fatte sempre più ‘importanti’ tanto che, complici le due finestre della sala rimaste aperte, non era difficile seguire l’incontro-scontro anche dalla strada. Ad un certo punto erano almeno in tre a parlarsi uno sopra l’altro.
“Ci vuole però che ogni tanto ascolti”, “non puoi pensare di fare sempre come credi” gli hanno detto più di una volta gli ospiti.
Il sindaco è rimasto impassibile, anche se, trovatosi sotto attacco, ha fatto la mossa di abbandonare il tavolo, rinunciando al tentativo quasi all’istante.
Dunque la riunione su cui erano accesi i riflettori di tutta la città si è conclusa con un clamoroso nulla di fatto.
Che ha finalmente chiarito ai dem che questo matrimonio non s’ha da fare. Anzi c’è chi all’interno della base sospetta che quella di oggi sia stata quasi una trappola per indebolire l’immagine del partito.
La parola ‘fine’ la dirà comunque domani sera, venerdì 25, l’assemblea degli iscritti del partito democratico che, non bastasse, aveva già fatto sapere di non essere più di tanto d’accordo ad un secondo colloquio, visto come era finito il primo. Facile quindi anticipare l’epilogo.
Dunque, a meno di clamorosi quanto improbabili colpi di scena (i firmatari del centro destra e delle liste civiche restano fermi sulla decisione; al pd è bastata la prova di oggi), la sfiducia ormai e cosa più che certa.
Tutto da capire il ruolo che il primo cittadino ha voluto giocare anche oggi, nel momento più tremendo della crisi che lo vede da ottobre scorso perdere pezzi da tutte le parti, tanto da annoverare ormai solo 8, forse 9, fedelissimi. Su 25 eletti.
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